Sei anni di CETA, tra successi e scetticismo
Dopo un lungo periodo di silenzio, il Centro Studi Italia-Canada torna a occuparsi di CETA. E lo fa analizzando i principali successi, diretti e indiretti, a sei anni dalla sua entrata in vigore.
Sono passati sei anni, da quel 21 settembre 2017, quando il tanto discusso accordo economico UE-Canada entrava in vigore, seppure in via provvisoria, tra mille polemiche e proteste. Tante le motivazioni che avevano indotto i “contrari” a contestare ciò che si temeva come la causa di una futura apocalisse ambientale, sanitaria ed economica.
Dagli oppositori, inoltre, il Canada veniva descritto senza la minima attinenza alla realtà (con i suoi numerosi pregi e qualche difetto) ma come una nazione subdola e pericolosa. Pochissime le testimonianze a favore dell’accordo, molte quelle contrarie, incapaci di coglierne gli effetti positivi, oltre che economici, strategici.
I successi del CETA
Con il trascorrere del tempo e nonostante le contestazioni, reali o fantasiose che fossero, i pochi resistenti non hanno smesso di difendere la bontà e la lungimiranza del CETA. Sentivano di essere nel giusto e questo era sostanzialmente il motivo di quel loro impegno. Saranno stati il buon senso o il destino, o semplicemente l’aver compreso il significato profondo del CETA… di fatto le circostanze hanno dato ragione a chi riteneva che quell’accordo rappresentasse uno strumento utile a una crescita virtuosa delle economie contraenti, nonché a un rafforzamento strategico rivelatosi, alla luce dei recenti avvenimenti, vieppiù utile e significativo.
I dati economici parlano da soli. Di recente ha avuto luogo un incontro presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nell’ambito di una più ampia relazione sugli strumenti che la UE ha elaborato e offre alle aziende per promuovere, facilitare e sviluppare il commercio con i paesi terzi. Quei dati riguardanti il CETA, Denis Redonnett, Direttore Generale Aggiunto della Direzione Commercio della UE, li ha riportati nella loro interezza: nei sei anni di attività dell’accordo (incluso il 2020 che ovviamente ha visto una stagnazione dei volumi di scambio) la crescita è stata del 67,7% (più del 10% annuo) e, solo nel primo semestre del 2023, del 7%.
A fronte di queste cifre, nessuna delle catastrofiche previsioni paventate dai NO-CETA ha mai avuto luogo. Nessuna invasione di “cibo spazzatura”; niente carne o altro alimento canadese non in linea con la rigorosa normativa europea in materia di sicurezza alimentare; nessuna deregulation dalla legge del mercato; nessun crollo delle esportazioni di prodotti alimentari italiani, anzi il contrario esatto; nessuna passiva e perdente partecipazione di aziende italiane a gare pubbliche canadesi, tutt'altro; nessuna complicazione dei processi di riconoscimento delle certificazioni, che si sono invece semplificati; nessuna forma di disattenzione da parte degli investitori canadesi verso il nostro paese. Sono solo alcuni dei pericoli sventati e degli obiettivi raggiunti come diretta conseguenza dell’entrata in vigore del CETA.
A questi vanno aggiunti altri collaterali successi nelle relazioni tra Italia e Canada, che hanno origine proprio dal CETA. Basta riferirsi alla nuova normativa canadese sulla proprietà intellettuale, che assai positivamente ha inciso sul riconoscimento delle Identificazioni geografiche non incluse nel CETA; e ancora, basti pensare ai nuovi accordi, sulla mobilità giovanile e sull’immigrazione d’affari, entrambi volti a favorire la formazione delle nuove generazioni sulla base di una approfondita e reciproca conoscenza e dello spostamento più o meno temporaneo delle professionalità a supporto dei reciproci investimenti.
Da un punto di vista geopolitico, l’Accordo di Partenariato Strategico (SPA), sottoscritto alcuni mesi prima del CETA con l’intento di garantire un necessario fondamento strategico, si è rivelato di grande attualità. La condivisione dei principi sui quali si basano le democrazie canadesi e dell’UE si è anche concretizzata nel comune approccio rispetto alla drammatica situazione in cui versa l’Ucraina all’indomani dell’invasione russa, con ciò proponendo le modalità e le azioni necessarie a fronteggiare la grave crisi in atto. Tutto ciò ha anche fatto riferimento alle conseguenze di carattere economico derivate dall’embargo nei confronti della Russia e alla necessità, per la UE e per l’Italia, di rafforzare i legami con i Paesi che, come il Canada, garantiscono delle condizioni oggettive per rappresentare una valida alternativa rispetto alla Russia e ad altri paesi non ottimali riguardo al loro eventuale partenariato. Chiaro il riferimento all’approvvigionamento energetico di combustibili fossili e di energie rinnovabili, nonché di estrazione in sicurezza e in protezione delle cosiddette terre rare.
In merito va ricordato che il Canada è uno dei grandi produttori di petrolio, una delle maggiori riserve al mondo del prezioso minerale, un rilevante estrattore di gas naturale e paese leader nel mondo per lo studio e lo sviluppo delle tecniche legate allo sfruttamento dell’idrogeno.
Del resto, che Canada e Unione Europea, e in particolare l’Italia, condividano molti interessi, non solo economici, in campo internazionale, è cosa nota: dal G7 alla NATO, dalle missioni di pace a quelle umanitarie, dall’esplorazione spaziale alla gestione dell’Artico, solo per citarne alcune.
La situazione in Italia
E dunque, cosa accade in Italia? Di recente sia alla Camera che al Senato sono state presentate delle proposte di legge volte alla ratifica del CETA. Il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha espresso valutazioni positive sull’accordo e sui suoi risultati a cui si sono unite molte associazioni imprenditoriali. Nel corso di una recente audizione informale di fronte alle Commissioni riunite di Camera e Senato (Rapporti con la UE), il Direttore della Rappresentanza della UE in Italia Antonio Parenti ha illustrato i dati summenzionati fornendo, a chi ne faceva richiesta, un’ampia ed esaustiva informazione sui progressi del CETA. Altra audizione il 27 settembre dinanzi alla Commissione Esteri, con le Organizzazione di categoria dell’Agricoltura. Diverse le posizioni:
- favorevoli alla ratifica: Confagricoltura, COPAGRI e CIA, seppure con diverse sfumature. Tutte comunque hanno ribadito l’auspicio a che gli organismi bilaterali istituiti in ambito CETA operino per eliminare eventuali criticità;
- contrari alla ratifica, ma non al trattato, Coldiretti che, nel ribadire il successo dei trattati bilaterali conclusi dalla UE (tra cui il CETA) ritiene che la non ratifica non pregiudicherebbe i positivi risultati ottenuti dai produttori italiani (grazie al CETA) che, così come è, può ben rimanere in vigore, ma, ritiene ancora Coldiretti, che il mantenere pendente “la spada di Damocle” sulla ratifica possa nel tempo contribuire alla migliore attivazione e attenzione degli organismi bilaterali, inducendo la parte canadese ad aderire alle modifiche delle quali Coldiretti si fa latrice e che fino ad oggi non sarebbero state accolte.
La partita è aperta: indietro non vuole tornare nessuno; l’intransigente contrarietà al CETA si è stemperata in un "no" alla ratifica, il che vuol dire aver riconosciuto che l’accordo in sé ha dato risultati positivi senza alcuna conseguenza negativa. L'Accordo quindi ha funzionato e funziona. La storica vicinanza, genetica si potrebbe dire, e la stretta comunione di intenti e interessi che lega Italia e Canada dovrebbe indurre ad una necessaria, maggiore fiducia.
[Fonte immagine: international.gc.ca]
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