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Pronti, partenza...CETA!

Pronti, partenza...CETA!

L’accordo commerciale CETA  tra i paesi dell’Unione Europea e il Canada entra in vigore il 21 settembre in modalità provvisoria, in attesa che tutti i parlamenti nazionali lo ratifichino

 

Angelo Di Gregorio*

Il 21 settembre 2017, salvo proroghe, parte il noto e discusso accordo commerciale CETA, acronimo di “Comprehensive Economic and Trade Agreement”  tra i Paesi dell’UE ed il Canada.  Sarà un avvio in “modalità provvisoria”, come previsto dal trattato, in attesa che tutti i Parlamenti nazionali lo ratifichino. L’Italia lo ha approvato il 27 giugno 2017  in Commissione Esteri del Senato, il provvedimento però dovrà passare in Aula per ulteriore discussione e votazione. L’accordo mira alla liberalizzazione degli scambi attraverso una serie di misure come l’abbattimento dei dazi doganali sulle merci, la riduzione delle normative (barriere non tariffarie), l’apertura del mercato dei servizi e degli appalti, il mutuo riconoscimento delle prerogative di esercizio delle professioni.  

Gli ambiti a cui si applicherà il trattato sono i beni agricoli, beni non agricoli, servizi e investimenti, appalti pubblici, proprietà intellettuale, risoluzione delle controversie, sviluppo sostenibile.

Si prevede quindi un intensificarsi delle relazioni commerciali con il Paese del premier Trudeau nei prossimi anni con conseguenze economiche significative per gli Stati Membri UE.

Gli effetti dell’accordo si esplicheranno in maniera modulare nell’arco temporale di 7 anni a seconda delle differenti categorie merceologiche.

In questa fase iniziale definita “provisional application” è stimato  un abbattimento di oltre il 90% dei dazi sulla merce esportata in Canada per un controvalore pari a 400 milioni di euro annui di risparmio per le aziende europee, con proiezione di aumento fino a 500 milioni di euro annui al momento dell’entrata in vigore definitiva del trattato.

I maggiori cambiamenti a regime per le aziende europee sono concentrati nel settore agroalimentare in particolare:

  • in quello dei formaggi, dove la quota annua esportabile in Canada a dazi zero passerà da 13.500 tonnellate a 32.000 tonnellate (+130%) e      
  • nella maggiore tutela di una selezione di prodotti a marchio DOP e IGP europei (173 denominazioni) riportati in una precisa “short list” allegata all’accordo. Per la prima volta infatti potranno essere commercializzati beni con la propria denominazione senza il rischio di vedersi applicate sanzioni legali poiché in contrasto con marchi registrati in precedenza da produttori locali. Un esempio per l’Italia è rappresentato dai Prosciutti DOP (Parma, San Daniele, Speck, Toscano) e i formaggi (Parmigiano, Asiago, Gorgonzola, Fontina) a cui era inibita l’importazione e la vendita in territorio canadese se non con l’utilizzo di nomi generici.

L’accesso agli appalti pubblici e alle forniture di servizi completano le possibili opportunità di business per le imprese del vecchio continente che potranno quindi entrare nel mercato canadese sia a livello federale sia provinciale che municipale, godendo di informazioni e procedure più trasparenti rispetto al passato.     

Di contro, le imprese del Paese nord-americano potranno avvantaggiarsi dell’ampliamento delle quote di esportazione “duty free” verso gli Stati UE:

  • nel settore dell’automotive che passa da 13.000 veicoli autorizzati a 100.000 unità annue (+669%);
  • nel settore della carne bovina con un incremento di 45.000 tonnellate annue (+982%) mentre per la carne suina di ulteriori 75.000 tonnellate annue (+1263%)
  • in quello del grano duro (medio/bassa qualità) che contempla un aumento del 130% arrivando a prevedere 100.000 tonnellate annue rispetto alle attuali 38.835 nel settore del mais, invece, si arriverà ad un contingente a dazio zero pari a 8.000 tonnellate

Rimangono, invece, aperte questioni che dovranno essere definite in modo chiaro dai due blocchi commerciali in una fase successiva, comel’introduzione nel mercato europeo della carne agli ormoni, dei prodotti OGM e del grano pretrattato con sostanze vietate nell’UE quali il glisofato.Il principio di precauzione, caro agli Europei, in via teorica potrebbe essere messo in dubbio dal concetto, presente nell’accordo, di “cooperazione normativa”, che contempla un mutuo riconoscimento delle certificazioni dei prodotti ed un tendenziale impegno alla riduzione delle normative al fine di facilitare gli scambi.

"In conclusione, i trattati commerciali, compreso il Ceta, sono sempre delle soluzioni di compromesso pur tuttavia necessari poichè, come afferma il Prof. Beniamino Quintieri, presidente di Sace, “l’esperienza insegna che nel medio-lungo termine gli effetti delle barriere al commercio tendono a rivelarsi un boomerang per i paesi che le introducono”.

  * Dottore Commercialista