Per la Corte Suprema di Cassazione è illegittimo il sequestro di infiorescenze di cannabis light

Proponiamo di seguito l’articolo, di recente pubblicato sul sito di NCTM studio legale, a firma di Paolo Quattrocchi (partner NCTM studio legale, direttore del Centro Studi Italia - Canada e vice presidente Chamber of Commerce - Canada West), Guido Foglia (partner NCTM studio legale) e Michelle Pepe (Avvocato Nctm studio legale) a commento della sentenza della Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 4920, 31 gennaio 2019.
Nel precedente articolo Cannabis light in Italia: boom clamoroso nelle vendite, ma l’uso ricreativo resta illegale, non si era trascurato di evidenziare che la Legge 242/2016, così come formulata, generava innumerevoli dubbi interpretativi proprio sulla vendita della infiorescenze di canapa light, rischiando così di inibire questa forma di business in Italia.
La sentenza in esame, nell’“evoluzione del filone logico” che possiamo creare sul tema, offre sicuramente delle risposte e degli spunti di riflessioni interessanti.
Si afferma in sintesi, che "La liceità della coltivazione della cannabis alla stregua della legge n. 242 del 2016 determina la liceità della commercializzazione dei suoi prodotti (e, in particolare, delle infiorescenze) contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0,6% - percentuale di THC al di sotto della quale la sostanza non è considerata dalla legge come produttiva di effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti -, nel senso che non potrebbero più considerarsi (ai fini giuridici) sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.p.r. 309 del 1990, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto d.p.r. Ne consegue che se il rivenditore di infiorescenze di cannabis provenienti dalle coltivazioni considerate dalla legge n. 242 del 2016 è in grado di documentare la provenienza lecita della sostanza, il sequestro probatorio delle infiorescenze, al fine di effettuare successive analisi, può giustificarsi solo se emergono specifici elementi di valutazione che rendano ragionevole dubitare della veridicità dei dati offerti e lascino ipotizzare la sussistenza di un reato ex art. 73, comma 4, d.p.r. 309 del 1990”.