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Multilateralismo à la carte, la via canadese

Multilateralismo à la carte, la via canadese

I nuovi equilibri geopolitici mondiali hanno indebolito il multilateralismo in favore dei sovranismi nazionali. Ma le relazioni tra Unione Europea e Canada potrebbero dare avvio a un nuovo bilateralismo pragmatico, una governance democratica costruita su valori condivisi, rispetto dei diritti umani, sviluppo sostenibile e risoluzione pacifica dei conflitti. È la via canadese, un corridoio interessante anche per l’Italia.

 

Laura Borzi*

Le sfide e il futuro della cooperazione internazionale sono da tempo al centro del dibattito degli studiosi di relazioni internazionali. Il rallentamento, se non la quasi totale paralisi della dinamica multilaterale che ha accompagnato il naufragio dell'ordine liberale, porta con sè un senso di smarrimento e fa tornare alla memoria i ricordi delle prime lezioni di scienza politica: Who Governs?[1]  La trama istituzionale e ideologica, tessuta all'indomani della seconda guerra mondiale, sembra disfarsi. L'usura del multilateralismo è di particolare rilevanza per il futuro della democrazia in un momento di grande incertezza che coinvolge tutti gli attori del sistema internazionale.

 In questo quadro, nel  campo occidentale, Unione Europea e Canada fanno i conti con la complicazione del sistema di potenza e un'improrogabile adattamento alla velocità dei cambiamenti che rende diffcile intravedere cosa ci aspetta dietro la transizione attuale. Per entrambi, grandi sono le sfide e le opportunità offerte dalla complessità della governance globale .

Per l'UE, che è forma e sostanza del multilateralismo, il progetto europeo non rappresenta più come in passato né un sogno né un'opportunità, bensì una necessità per il futuro (Tocci 2018), ma questo presuppone una consistente determinazione e volontà nel lungo periodo, una visione lungimirante che nell'attuale cultura politica e nelle stesse istituzioni europee è carente.

Per ciò che concerne il Canada, il crepuscolo del multilateralismo chiama in causa la tenuta in termini temporali e di efficacia degli  accordi e delle partnership che hanno definito le relazioni internazionali per decenni.

 

La politica canadese dal secondo dopoguerra tra internazionalismo, multilateralismo e bilanciamento del rapporto con gli Stati Uniti

La politica estera contemporanea del Canada è stata modellata dal rapporto con gli Stati Uniti e dall'adesione all'ordine liberale internazionale come uscito dal secondo conflitto mondiale, nel quale la trasformazione e complicazione del sistema di potenza ha una componente geografica di rilievo.

 

 

President Donald Trump and Canadian Prime Minister Justin Trudeau shake hands during a joint press conference, Monday, Feb. 13, 2017, in the East Room of the White House. (Official White House Photo by Shealah Craighead)

 

 

I rapporti con il potente vicino sono stati sempre strutturanti non solo per la condivisione di un confine estesissimo, ma per un elevato livello di prossimità culturale. In effetti tra le circostanze del  disordine mondiale, lo sviluppo più problematico per Ottawa è stata proprio la politica dell'amministrazione Trump, "reticente" alla promozione dei valori democratici di matrice wilsoniana e dunque  all'allentamento e ripensamento dei legami con il sistema delle istituzioni internazionali. In questi termini e ad oggi, la sfida dell'adattamento del Canada alle dinamiche mondiali e il mantenimento dei  valori come l'internazionalismo e multilateralismo, sui quali poggia la politica estera di Ottawa, è un'impresa di non poco conto. A ben vedere, lo stesso spazio per l'internazionalismo è risultato storicamente limitato dal fatto che il paese sia sempre stato  subordinato ad un soggetto più potente dal punto di vista economico, politico e militare: prima la Gran Bretagna, successivamente  gli Stati Uniti (Mank, 2019).

Ottawa ha cercato di attuare un bilanciamento tra indipendenza e interdipendenza all'ombra del vicino americano e ciò si è a volte manifestato in  tensioni e contraddizioni tra i valori e gli interessi.  La ricerca di questo equilibrio si rivela oggi  palesemente complicata perchè richiede una più cauta gestione della relazione con gli Stati Uniti dopo che,  questi hanno rivisto al ribasso il sistema delle relazioni internazionali che dalla fine del secondo conflitto mondiale aveva per quattro decenni ordinato il mondo.

All'indomani della seconda guerra mondiale la politica estera canadese si era stabilita sui principi dell'internazionalismo liberale, multilateralismo e rispetto delle istituzioni internazionali, promozione dei valori di pace, di giustizia sociale, dei diritti umani, principio del non ricorso alla forza nella risoluzione dei conflitti internazionali. In un discorso del 1947, Louis Saint-Laurent, 120 Primo ministro del Canada, aveva cercato di definire in questo senso valori e ruolo canadese nel mondo[2] , una visione che fu incarnata principalmente dal collega liberale Pearson, premio Nobel per la pace nel '57 per il ruolo svolto durante la crisi di Suez.

Negli anni Sessanta, la difesa di questi valori si concretizza nell'opposizione canadese alla guerra del Vietnam. Il realismo e la salvaguardia degli interessi vitali avevano già condotto, alla fine del decennio precedente (1957), alla creazione del NORAD (North American Airspace Defense Command), il Comando congiunto USA - Canada incaricato di proteggere gli spazi aerei dei due Stati. Senza dimenticare che il Canada è stato tra i membri originari dell'Alleanza Atlantica.

L'internazionalismo portato avanti negli anni Settanta e Ottanta da Pierre Trudeau (Primo ministro dal 1968 al 1979 e poi dal 1980 al 1984) e successori coesiste con l'intesa con gli Stati Uniti. Se la sensibilità alle questioni ambientali si manifesta nel Protocollo di Montreal per la protezione dell'ozono (1985), sul fronte del commercio, si giunge alla firma dell'accordo di libero scambio con gli Usa (1988), peraltro  preceduto da non pochi dibattiti per timore di un dominio americano non semplicemente di cararttere economico, ma anche culturale. Lo stesso avviene per la firma del NAFTA nel 1994, l'accordo che comprendeva anche il Messico.

Pierre Trudeau speaking at a fundraising meeting for the Liberal Party at the Queen Elizabeth Hotel in Montréal, Québec.

 

Per "porre rimedio" a questo  bilateralismo il Primo ministro Chretién pubblica nel 1995 un libro bianco che riafferma l'attaccamento alla causa del multilateralismo. In tal senso continua l'impegno canadese con la Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo (1997) e il ruolo nelle operazioni di mantenimento della pace.

Nel 2006, con l'arrivo al potere dei conservatori di Harper, si registra  un forte rallentamento di questa  tradizione multilaterale, con la virata verso una politica estera caratterizzata da un neo conservatorismo di stampo "morale", nutrito dalla convinzione, suscettibile di influenzare la stessa società canadese, che l'Occidente detenga una superiorità morale. Si attua così un parallelismo tra la politica interna e internazionale con la vicinanza alle politiche di George W. Bush e finanche una sorta di neocontinentalismo che si manifesta appunto attraverso un sostegno pressochè incondizionato all'alleato americano (Descheyer 2015). Si concretizza una rivendicazione di potenza fondata sull'hard power con il rafforzamento dell'identità militare,  la critica dei metodi della diplomazia tradizionale e l'accento posto sulle relazioni bilaterali con i paesi partner piuttosto che sulle istituzioni multilaterali.

La politica ambientale è ridefinita per sostenere l'industria petrolifera e fare del paese una superpotenza energetica anche tramite il  ritiro dal protocollo di Kyoto nel 2012. Emblematico l'atteggiamento verso l'Artico con la ferma rivendicazione di sovranità riassunta bene nello slogan "use it or loose it". Questo decennio di pausa dai tradizionali valori dell'internazionalismo, espressione ideologica della scuola di Calgary, risente però anche di un mondo oramai in cambiamento: si riaffaccia il ritorno della potenza dopo la fase degli anni Novanta in cui lo Stato era risultato in parte  marginalizzato in favore delle organizzazioni internazionali e ONG.

Harper si mostra scettico verso i legacci multilaterali. Questi non sono abbandonati tout cour, ma ci si focalizza su un numero selettivo di obiettivi, promuovendo una sovranità illuminata che definisce "una naturale estensione" oltre frontiera dei propri interessi. Dal punto di vista ideologico, tuttavia, una rigida attitudine morale nei confronti degli avversari, se ha effetti negativi anche per una grande potenza (leggasi intervento americano in Iraq), può risultare del tutto fallimentare per una media potenza che ha proprio nell' attitudine alla cooperazione istituzionale e alla mediazione la propria forza e da cui deriva la propria  influenza sulla scena internazionale.  

 

Justin Trudeau: il pragmatismo liberale

Solo con Justin Trudeau (2015), consapevole delle limitate capacità di hard power del paese, si attua il ritorno ad una politica maggiormente improntata al dialogo con la comunità internazionale nel suo complesso. La campagna elettorale dei liberali è volta a ristabilire il ruolo del Canada nel mondo tramite il rafforzamento delle istituzioni internazionali, in primis Nazioni Unite. Trudeau promette un rinnovamento con la tradizione multilaterale del passato che non solo era stata la caratteristica del dopoguerra, ma aveva fatto del Canada il paese di una rispettata cittadinanza internazionale.

Con la vittoria dei liberali cambia l'approccio: la politica del governo si fa più inclusiva sul piano interno e si riprende la ricerca di un difficile equilibrio tra valori e interessi sul piano internazionale.

Canada is back con un'agenda le cui priorità sono il sostegno alle istituzioni internazionali, il progresso nella parità di genere, la promozione del commercio e dei buoni rapporti con Washington. Nondimeno si porta avanti un certo pragmatismo che si materializza nel concetto di "convinzione responsabile" enunciato dal ministro degli Esteri Stéphane Dion ( 2015-2017) per cui valori e principi debbono includere il senso di responsabilità, ovvero si dovrà condurre una politica priva di dogmatismi, alla ricerca di risultati concreti facendo del Canada un paese "costruttore di pace giusto e risoluto".  Si è cercata la strada di una forma di pragmatismo liberale, meno ideologico rispetto all'internazionalismo liberale tradizionale, per far fronte alla molteplicità e dinamicità delle crisi odierne.

Il bilancio di politica estera del governo Trudeau, letto alla luce del binomio intressi/valori, riflette le incertezze acuite dallo scenario internazionale del momento e soffre di una certa discontinuità in merito al necessario parallelismo tra politica estera e interna. Ciò emerge nei settori chiave di economia, difesa, ambiente in un difficile barcamenarsi tra il bilateralismo con gli Stati Uniti, non certo una novità assoluta per il Canada, e la fluidità del sistema internazionale, circostanza che aumenta le incertezze e può inficiare non poco i rislutati delle azioni. Sul piano economico, ad esempio, la rinegoziazione del NAFTA non era tra le priorità di Trudeau. Ora il nuovo accordo trilaterale (USMCA), se in positivo permette l'accesso al mercato americano, che costituisce il 75% delle esportazioni canadesi, lega tuttavia inevitabilmente le politiche del Canada ai rapporti sino-americani e al protezionismo di Trump.

 

A screen capture taken from the Liberal Party of Canada website

 

Nel settore della Difesa, le linee indicate nel Documento Strong Secure Engaged (2017) prendono atto dei cambiamenti del sistema internazionale ad esempio in Artico. Qui si stanno  finanziando ed equipaggiando le forze volte a proiettare potenza in un'area portata dal  riscaldamento climatico sotto la lente della  geopolitica mondiale.

Tre  le priorità indicate nella Strategia: difesa del Canada, del Nord America e sostegno alla sicurezza internazionale. Per la sicurezza internazionale di particolare rilievo è il rafforzamento che può essere attuato proprio tramite l'azione cooperativa per sostenere le norme volte ad inibire la proliferazone delle armi di distruzione di massa (WMD), la sicurezza ai confini, la democrazia, il commercio.

Gli esperti[3] avanzano dubbi su alcuni dossier. Ci si chiede  ad esempio se non sarebbe opportuno  aumentare il budget della difesa - attualmente rappresenta l’1,23% del PIL - verso lo standard NATO (2%). Dal punto di vista qui considerato, ovvero il sostegno al multilateralismo, un maggiore attivismo in ambito NATO sarebbe auspicabile, non fosse altro perchè nel settore Difesa la collaborazione continua e continuerà ad essere gestita in ambito multilaterale. Sullo stesso  tema si sollecita l'urgenza del rinnovamento dell'intera flotta dei caccia CF-18 Hornet[4], l'aggiornamento del North Warning System arrivato alla fine del ciclo di vita operativo e necessario inoltre per garantire  la consapevolezza situazionale in Artico. Infine e a proposito di nuove  minacce si evidenzia  la necessità di mostrare interesse per il sistema di difesa balistica continentale (BMD).

In tema ambientale, il Governo Trudeau ha aderito alle linee delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile e all'accordo di Parigi sul clima, ma questa azione è  risultata  meno incisiva da un lato per il ritiro di Trump dagli impegni della COP 21, dall'altro per le  stesse "costrizioni" interne come il sostegno alla costruzione di oleodotti volti alla vendita di energia nel mercato asiatico. Se la normativa attenta all'ambiente proprio nella costruzione ha mandato segnali contrastanti all'industria (Mank 2019), alla  COP 24 in Polonia lo scorso dicembre è emersa chiaramente la necessità di una leadership sul tema e il Canada sarebbe un candidato ideale in questo senso, sebbene siano numerose le critiche rivolte ad Ottawa per una certa discrepanza tra intenti e azioni concrete[5].

Non sarà facile conciliare le esigenze economiche di un paese grande esportatore di energia con le esigenze ambientali che oggi, con le conseguenze del riscaldamento climatico, non sono più un mero principio, ma una necessità per ovviare a costi insostenibili in futuro.

Infine, malgrado il cambio di rotta, il governo liberale non è riuscito del tutto a ristabilire la reputazione canadese in quei ruoli chiave tradizionalmente ricoperti da Ottawa nei settori di aiuto allo sviluppo, assistenza umanitaria, risoluzione dei conflitti, mantenimento della pace .

 

Conclusioni

La strada per rafforzare le alleanze con i partner e gli alleati, in considerazione del fatto che i rapporti con Washington continueranno (per tutti) a rimanere meno stabili, dovrà prima o poi giovarsi di una nuova roadmap di politica estera adottando, nei limiti del possibile, un multilateralismo à la carte, con il fine di creare consenso intorno ai fondamentali principi di rispetto dei diritti umani, apertura al commercio, giustizia sociale, difesa delle istituzioni della governance democratica. Del resto, il multilateralismo, per quanto lo si voglia rivedere al ribasso, rimane la scelta obbligata per le medie potenze anche se oggi sembra avere perso in gran parte la capacità di ricostruire l'ordine internazionale disciplinandone il sistema dei rapporti tra Stati. In verità, come si è visto per le particolari circostanze culturali e geografiche, bilateralismo e multilateralismo nell'esperienza canadese non sono concetti rigidi, poichè impegni multilaterali e pratica bilaterale sono stati veicolati dall'imperativo di gestire al meglio la relazione con gli Stati Uniti.

Il  mondo, che ha archiviato il periodo post guerra fredda, genera ingenti sfide e porta innumerevoli opportunità proprio per quegli attori come il Canada (e l'UE) ai quali, almeno sulla carta, viene data la possibilità di giocare un ruolo maggiormente significativo che in passato nell'arena mondiale. Il Canada dovrà elaborare una visione di politica estera più ambiziosa basata su alcune  priorità e approntare le risorse ad esse adeguate portando avanti norme e valori di democrazia, rafforzando al contempo il proprio riposizionamento geostrategico.

Per il Canada di Trudeau, valori e interessi vanno portati avanti in parallelo. Come sottolineato dal ministro degli Esteri Chrysta Freeland[6] ad inizio 2019, in relazione al tema del rispetto dei diritti umani, se nel breve la difesa dei valori può creare problematiche con alcuni paesi (Arabia Saudita e Cina), nel lungo periodo è esattamente il sistema dei valori l'unico strumento idoneo a garantire gli interessi vitali di una nazione.

In ultima analisi, sembrerebbe che il Canada e l'Unione Europea, per  continuare il nostro parallelo tra le due sponde dell'Atlantico, a causa di un certo dislivello tra hard e soft power, possano permettersi molto meno di altri il lusso di derogare ai valori e ai principi, nonostante, e anzi soprattutto in considerazione del fenomeno del ritorno di potenza degli Stati nel panorama mondiale. Una nazione ricca come il Canada senza specifiche problematiche di sicurezza,  pur nell’epoca della polverizzazione delle minacce, ha interesse a un ordine stabile e ad un  multilateralismo che necessita aggiornamento, ma che dovrà continuare a fornire un congruo spazio alle organizzazioni internazionali per promuovere un senso di fiducia, identità, aspettative di reciprocità diffusa, con ampia condivisione di benefici. Almeno per l'Occidente.

Per riprendere il discorso iniziale, il panorama mondiale si configura in modo assai diverso rispetto al passato. La cooperazione internazionale è in crisi, ma ancora indispensabile. Se il multilateralismo naufraga come sistema di valori inclusivi e democratici per se, resta la sua  validità come pratica empirica, metodo per la soluzione dei problemi comuni, laddove l'azione degli Stati in quanto singoli risulterebbe inefficace. In realtà le sfide globali necessitano, per definizione, di un'azione collettiva e una buona dose di leadership.  L'attuale e difficile fase di transizione porterà, con tutta probabilità, verso un sistema meno convergente, meno inclusivo e meno istituzionalizzato, ma più flessibile. Meno stabile, ma più resiliente, più in grado di resistere alla rottura.

 

*Analista Politica Internazionale

 

[1]     Robert Alan Dahl, 1961

[2]   https://www.russilwvong.com/future/stlaurent.html

[3]   J. Collins, First Principles and  the national Interst, Report Card on Canadian Defence Policy 2018

     http://macdonaldlaurier.ca/files/pdf/20181203_MLI_Defence_report_Card_PAPER_FWeb.pdf, J. Collins 2018

[4]   Axe, Canada's Air Force : Destined  to become old and  obsolete  The National Interst, January 5, 2019 https://nationalinterest.org/blog/buzz/canadas-air-force-destined-become-old-obsolete-40802

[5]   v. N Deisori, Katowice COP 24"I canadesi lo sanno" Il canada e la leadership internazionale a tema ambiente, http://www.centrostudi italiacanada.it/articles/katowice_cop24_i_canadesi_lo_sanno_il_canada_e_la_leadership_internazionale_a_tema_ambientale-136/

[6]   https://edition.cnn.com/videos/tv/2019/01/26/exp-gps-freeland-sot-canada-china.cnn