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Katowice COP24: «I canadesi lo sanno». Il Canada e la leadership internazionale a tema ambientale

Katowice COP24: «I canadesi lo sanno».  Il Canada e la leadership internazionale a tema ambientale

Alla Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico è emersa la carenza di una leadership politica internazionale a tema ambientale che il Canada potrebbe colmare

 

Nadia Deisori

 

«Canadians know this» («I canadesi lo sanno»), ha sottolineato nel suo speech alla 24ma Conferenza delle parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP24) la ministra canadese per l’Ambiente e il Cambiamento climatico, Catherine McKenna. Il governo canadese è ben consapevole che ci sono solo 12 anni per impedire al mondo di superare il limite di 1,5 °C di riscaldamento globale rispetto all’epoca preindustriale, ha anche detto.  Le dichiarazioni del Canada sono risuonate come una presa di responsabilità e un’assunzione di intenti dal forte impatto, giunte in un momento della Conferenza in cui si è persino temuto di non raggiungere alcun accordo.

«Stiamo finendo il tempo, sprecare questa opportunità non sarebbe solo immorale, sarebbe un suicidio», aveva sollecitato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, a Katowice, piccola città nel sud della Polonia, dove si sono riuniti, dal 3 al 15 dicembre 2018, i paesi firmatari della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Dopo 13 giorni di negoziati, la COP24 si è chiusa con 24 ore di ritardo e la firma di un work program comune che non va oltre gli impegni dell’accordo di Parigi del 2015, entrato in vigore il 4 novembre 2016, e che non scioglie la questione Indc (Intended nationally determined contributions), le promesse di riduzione delle emissioni di CO2 datate 2015 e ritenute oggi del tutto insufficienti per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, rimanendo il più possibile vicini agli 1,5 °C.

COP24 ha anche evidenziato una carenza a livello mondiale di una leadership politica a tema ambientale. Un’opportunità che il Canada non può e non vuole farsi sfuggire.

«Siamo la prima generazione a sperimentare ampiamente gli impatti dei cambiamenti climatici. Siamo anche la prima generazione a conoscere le soluzioni, e ognuno di noi si è impegnato per fare la propria parte. E come chiarisce il rapporto dell'IPCC a 1.5 gradi e che accogliamo favorevolmente, siamo l'ultima generazione in grado di agire, per essere in grado di prevenire gli impatti peggiori. I canadesi lo sanno».

 

 

 

Il governo canadese è messo da tempo sotto pressione perché assuma un ruolo di guida globale per far fronte ai cambiamenti climatici. L’accusa velata è di fare dichiarazioni al di sopra dei fatti e questo nonostante gli sforzi del governo guidato da Justin Trudeau.

Il Canada si è infatti impegnato a contribuire entro il 2020 con 2,65 miliardi di dollari per aiutare i paesi in via di sviluppo a sviluppare energia pulita e rinnovabile, sistemi di allarme rapido e progetti di adattamento, il suo più grande investimento internazionale sul clima di sempre. 

Dal punto di vista delle politiche interne, le misure incluse nel quadro pan-canadese sulla crescita pulita e sui cambiamenti climatici (The Pan-Canadian Framework on Clean Growth and Climate Change), sviluppato con Province, Territori e Popolazioni Indigene canadesi, aiuteranno, attraverso un piano di investimenti, a raggiungere o superare entro il 2030 l'obiettivo di riduzione dell'Accordo di Parigi per le emissioni di gas serra del 30 per cento rispetto ai livelli del 2005.

Un pilastro fondamentale del piano è l’introduzione, a partire dal 2019, di un sistema di prezzi sull'inquinamento da carbonio (Pricing Pollution System) che si applicherà in tutto il Canada per ridurre le emissioni, dare incentivi a persone e imprese per scegliere opzioni più pulite e come fattore incoraggiante di maggiori investimenti in nuove tecnologie pulite. 

Durante la Conferenza di Katowice, Catherine McKenna si è anche riunita con la Carbon Pricing Leadership Coalition per discutere sull'utilizzo dei proventi dei prezzi dell'inquinamento da carbonio per sostenere la transizione climatica e lo sviluppo sostenibile.

 

«L'inquinamento non è gratuito, oggi il mondo sta pagando un prezzo in termini di tempeste record, incendi, inondazioni e ondate di calore, che portano costi economici reali, ecco perché il governo del Canada ha preso provvedimenti e messo in atto misure per ridurre l'inquinamento da carbonio in modo che i canadesi possano godere di un'economia pulita e in crescita che sia più accessibile per tutti».

 

THE IPCC SPECIAL REPORT ON GLOBAL WARMING OF 1.5 °C: L’OSTRUZIONISMO DEL BLOCCO DEI PRODUTTORI DI PETROLIO

 

Protagonista dei contrasti della Conferenza è stato, per alcuni giorni, il Rapporto Speciale sul Riscaldamento Globale di 1.5 °C, presentato dall’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Il rapporto ha evidenziato le conseguenze di un riscaldamento globale oltre 1.5 °C e quali misure adottare, quindi, per evitare questo temibile scenario: ridurre l'inquinamento da carbonio della metà entro il 2030, tra soli 12 anni, e quindi raggiungere lo “zero netto” entro il 2050.

 

Arabia Saudita, Federazione Russa, Stati Uniti e Kuwait hanno manifestato la loro contrarietà a «accogliere» welcomed») il rapporto. I quattro hanno insistito per una formula che prendesse semplicemente atto del documento («noted»). Lo scontro, solo apparentemente sul piano lessicale, ha rivelato una più sostanziale divisione tra i paesi firmatari: il blocco che rappresenta gli interessi dei combustibili fossili non vuole ridurre le emissioni. L’Arabia Saudita ha anche tentato, ma senza successo, di ampliare il “gruppo ostile”, chiamando all’appello i paesi in via di sviluppo, quelli che in realtà il rapporto indica come i più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale, sostenendo che «La responsabilità di limitare l’uso di combustibili fossili non dovrebbe ricadere sui paesi in via di sviluppo, compresa l’Arabia Saudita, ma sui paesi più grandi e ricchi con una lunga storia di emissioni di carbonio».

 

Alla fine, il rapporto non è stato incluso nell’accordo di Katowice.

 

PERCHÈ COP24 HA DELUSO GLI AMBIENTALISTI

 

Le 256 pagine del “Rulebook” della COP24, il regolamento firmato dai Governi noto come “Katowice Climate Chanke Package”, sono state dunque giudicate fragili in relazione agli obiettivi di riduzione delle emissioni necessarie per scongiurare il peggio e la presidenza polacca è stata considerata inadeguata nel rafforzare il dialogo tra le parti. L’analisi scientifica indipendente Climate Action Tracker, ha calcolato che gli sforzi che i paesi hanno sottoscritto a Parigi e quindi confermati in Polonia non eviteranno dal 2100 di innalzare il riscaldamento globale di 3 gradi.

 

Secondo Greenpeace: «Non è stato raggiunto alcun impegno collettivo chiaro per migliorare gli obiettivi di azione sul clima. La Cop 24 ha offerto il triste spettacolo di nazioni che difendono i loro interessi economici e industriali, mentre quelle più vulnerabili si giocano la sopravvivenza». Réseau Action Climat, che riunisce molte associazioni ambientaliste, ha rilasciato un Comunicato che denuncia come il testo approvato « non prevede l'inclusione dei diritti umani, della sicurezza alimentare e della parità di genere nell'attuazione dell'Accordo di Parigi (…) e manca di elementi essenziali per rendere la transizione equa, inclusiva e per fornire risposte ai più vulnerabili di fronte alla crisi climatica».

 

COP24 ha evidenziato inoltre la distanza tra le politiche ambientali messe in atto e le richieste provenienti dalla società civile, come è emerso dal toccante discorso della quindicenne attivista svedese Greta Thunberg:

«Nel 2078 festeggerò il mio settantacinquesimo compleanno. Se avrò dei bambini probabilmente un giorno mi faranno domande su di voi. Forse mi chiederanno come mai non avete fatto niente quando era ancora il tempo di agire. Voi dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa, ma state rubando loro il futuro davanti agli occhi».

 

 

 

Tra le lacune più importanti del testo approvato, c’è la mancata intesa sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi in merito al mercato globale delle emissioni di CO2 per la netta opposizione del Brasile, che ha anche ritirato la disponibilità a ospitare la prossima Conferenza sul clima. Il meccanismo dovrebbe prevedere che se un paese supera la quota di emissioni assegnate dovrà acquistare “crediti”, cioè comprare ogni tonnellata di emissioni eccedenti da un paese più virtuoso. I crediti di carbonio vengono assegnati ai paesi per i loro sforzi nella riduzione delle emissioni e per la loro capacità di assorbimento del carbonio, attraverso le foreste ad esempio. Questi crediti contano sugli obiettivi di riduzione delle emissioni dei paesi. Il Brasile, che spera di beneficiare della sua grande copertura per la foresta pluviale, ha insistito per una nuova formulazione che però potrebbe provocare un doppio conteggio dei crediti, minando l'integrità del sistema.

Su questo spinosa questione i paesi dovranno tornare a confrontarsi.

 

IL RULEBOOK DELLA COP24 IN SINTESI

 

Nonostante le voci critiche e considerando l’ostruzionismo dell’Arabia Saudita sullo Special Report on Global Warming of 1.5°C dell’Ipccc spalleggiata da Stati Uniti e Russia e Kuwait, l’agenda internazionale distratta dal topic Brexit e dalle rivolte francesi e gli Stati Uniti pronti a ritirarsi dall'accordo di Parigi, l’aver firmato un accordo è di fatto un risultato ambizioso e un notevole passo in avanti.

 

L’accordo raggiunto in Polonia:

 

  • fornisce indicazioni su come gli Stati debbano monitorare e contabilizzare in modo uniforme e trasparente le loro emissioni di gas serra, gli sforzi che stanno facendo per ridurli e gli aggiornamenti necessari ai loro piani di emissioni;
  • rassicura i paesi più poveri in fatto di sostegno finanziario (100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020) da parte dei paesi più ricchi per aiutarli a ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti. E stabilisce il processo per introdurre dal 2015 obiettivi finanziari più ambiziosi;
  • stabilisce gli strumenti per valutare nel 2023 l’efficacia dell’azione per il clima condotta, monitorando i progressi nello sviluppo e il trasferimento di tecnologia.

 

Tra gli aspetti positivi della COP24 anche alcune dichiarazioni giunte dai “corridoi” della Conferenza: Germania e Norvegia hanno promesso di raddoppiare i loro contributi al Green climate fund; la Banca Mondiale ha annunciato che nel periodo 2021-2025 metterà a disposizione 200 miliardi di dollari per le azioni di resilienza al cambiamento climatico, metà sotto forma di finanziamenti diretti dalla Banca Mondiale e metà come prestiti e altre forme di assistenza da altre parti del gruppo della Banca Mondiale.

 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha poi convocato un vertice sul clima il 23 settembre 2019, presso la sede delle Nazioni Unite a New York. Si è inoltre deciso che sarà il Cile ad ospitare la Cop25 a novembre del 2019, mentre una pre-Cop si terrà in Costa Rica.