Canada: tra regole e libertà. Intervista a Giulio Galleri, che da oggi inizia la sua collaborazione con il CSIC
Giulio Galleri è nato e cresciuto in Sardegna ma ha passato gran parte della sua vita professionale all’Estero, lavorando prevalentemente nel mondo dell’EPC (ingegneria, approvvigionamenti e costruzione) di grandi progetti nel settore dell’oil and gas.
Laureato in Giurisprudenza e successivamente in Economics and Political Science, ha perfezionato la sua formazione giuridica e manageriale con dei Master all’estero, rafforzando anche con la formazione le sfide professionali che vissuto in più di quindici anni.
Giulio si è sempre occupato di materie contrattuali, commerciali e di governance, gestendo situazioni di crescente responsabilità in contesti diversissimi: Italia ed Europa, Asia, Medio-Oriente, Africa e Nord America.
La sua avventura canadese (e nordamericana) è iniziata fra il 2013 e il 2014 e dura fino ad oggi. Ha lavorato in Canada per ben due volte, la prima con la Saipem, come responsabile della contrattualistica in Nord America, la seconda con la Bonatti.
Attualmente, collabora con varie società che si occupano di progetti EPC e risorse naturali, aiutando anche realtà italiane che si affacciano su questi mercati.
Da oggi entra a far parte, come autore, nella squadra del Centro Studi Italia-Canada.
Ciao Giulio, prima di tutto benvenuto a bordo. Tra i tanti traguardi che hai ottenuto, ce n'è uno che non abbiamo ancora svelato: sei riuscito a ottenere la cittadinanza canadese. Ecco, raccontaci un po’ di questo percorso e di come abbia deciso di investire, immaginiamo, tante energie nel conseguire il traguardo della doppia cittadinanza.
Conosco altre persone che hanno più di una cittadinanza e devo dire che un elemento mi sembra accomunare la nostra "categoria": ci sentiamo un po’ cittadini del mondo. Il processo di internazionalizzazione per cui siamo passati (e per cui in parallelo passano anche le aziende italiane che lavorano all’Estero) non disperde i valori di partenza, ma accresce e completa il bagaglio culturale e di competenze. Personalmente, non ho mai perso le mie radici italiane, tant’è che passo tuttora molto tempo in Italia, ma devo dire che l’apertura a nuove culture mi ha dato tanto, professionalmente e – penso – anche umanamente.
L’incontro con il Canada è avvenuto in ambito professionale, ma si è poi esteso ad altri aspetti della vita. Come ci siamo detti altre volte, il Canada è un Paese di grandi opportunitaà e con grandissime risorse, una nazione giovane e aperta al nuovo (seppure con tante regole che spesso possono apparire “rigide” a chi ci si imbatte per la prima volta). In quest’ottica, un aspetto su tutti mi ha colpito: il Canada incarna davvero quella dimensione di libertà della grande tradizione nord-americana che tanti film e canzoni ci hanno trasmesso, quella dell’America buona. Qui le regole valgono davvero per tutti e, mantendosi all’interno del perimetro di queste, si presentano grandi opportunità per realizzarsi, a prescindere da quelli che possono essere il punto di partenza nella vita o le inclinazioni personali. Nella misura in cui si rispettano le regole, c’e’ posto davvero per tutti, in un contesto di grande positività.
Ecco, avendo sposato questi valori, ho deciso di aggiungere al mio DNA italiano ed europeo un po’ di Canada, cristallizzando il tutto con un secondo passaporto: best of both worlds, spero! Il processo in sè poi non è certamente impossibile, ma richiede la permanenza fisica sul suolo del Paese per alcuni anni e naturalmente alcuni esami atti a confermare la conoscenza della lingua e della cultura del Canada.
Veniamo adesso alla tua esperienza professionale in Canada. Cosa ti senti di condividere? Hai trovato più comunanza o differenza rispetto a quanto appreso in Italia?
Ci sarebbero tante considerazioni da fare, ma provo a soffermarmi su quelli che mi sembrano i punti salienti più pertinenti al mio vissuto nel Paese.
C’è, innanzitutto, un dato di partenza relativo all’impostazione dei due Paesi: l’Italia si regge sul talento e – diciamolo – anche sugli espedienti di tanti individui; il Canada agisce invece come “sistema” o intelligenza collettiva. La capacita’ di adattamento e la flessibilità sono ciò che rende forte l’Italia e gli italiani (anche all’Estero); la comunità canadese si stringe invece forte attorno alle sue regole e ne impone con efficacia l’osservanza, a tutti e senza eccezioni. Personalmente, vedo pro e contro da entrambe le parti, ma – e qui sta il punto – questa differenza generale di impostazione ha ricadute che investono necessariamente l’attività lavorativa o, meglio, il modo di fare business e industria nei due Paesi.
Per quello che riguarda la mia esperienza diretta in Canada, un primo tema che investe i grandi progetti infrastrutturali è quello della complessità normativa e costituzionale. Il Canada è membro del Commonwealth, è una Monarchia Costituzionale e, soprattutto, uno Stato Federale composto da Province e Territori. Pensiamo al quadro normativo multi-livello che ne consegue e che regola la realizzazione delle grandi infrastrutture. Per fare un esempio, quando ci si riferisce al mondo delle condotte (pipeline), si incontra una prima grande distinzione fra progetti regolati dal CER (Canada Energy Regulator) – che sono poi quelli che attraversano i confini fra province o verso gli Stati Uniti – e progetti non regolati da quell’ente. Ecco, da questa distinzione emergono caratteristiche e soprattutto modalità e tempi di approvazione molto diversi, che rendono estremamente sfidante lo sviluppo e la realizzazione di determinati progetti.
Un secondo tema, collegato al primo, è quello degli stakeholder: il Canada è un Paese per così dire a base “multi-stakeholder”. Esistono molteplici gruppi portatori di diversi interessi che concorrono alla formazione della volontà politica e della gestione amministrativa del Paese. Per fare un esempio ben noto a chi lavora nel mio settore, gli Indigeni – siano questi First Nation, Inuit o Métis – godono di diritti su risorse e terre che devono essere rispettati, anche dalle più grandi multinazionali. Venendo al concreto, è impensabile sviluppare un progetto oil and gas o minerario senza il coinvolgimento e il consenso degli Indigeni. Oltretutto, a questo proposito ho avuto modo di apprezzare molto la sensibilità al business di molte di queste persone, che in alcuni casi sono riuscite a sviluppare anche propri progetti (magari in joint venture con grandi operatori del settore) che quindi sono adesso “First Nations-owned” (o “co-owned”), come ad esempio l’impianto di liquefazione gas “Cedar LNG” che speriamo venga realizzato presto.
Proseguendo lungo il filo di questo discorso, penso poi al tema dei Sindacati – o “Union” – che hanno gran forza nel Paese (come del resto anche negli Stati Uniti) e che hanno una funzione sociale ed economica peculiare. Il mercato del lavoro nord-americano e quindi canadese è estremamente flessibile, ai limiti dell’incertezza. Non mi riferisco solo al grande turnover lavorativo, ma anche alle dinamiche di un mercato – e qui penso soprattutto al mondo della costruzione – fatto di alti e bassi, di pause e ripartenze repentine. I progetti arrivano a ondate e spostano letteralmente forza lavoro da una parte all’altra del Paese: oggi si costruisce una grossa diga in British Columbia, domani sarà la volta di una centrale idroelettrica in Ontario. Ebbene, in questo sistema, dove il lavoro è spesso a progetto e quindi a termine, le Union agiscono da veri e propri fornitori di manodopera verso le imprese, assicurando continuità ai lavoratori. È proprio grazie a questo ruolo attivo nell’industria (business-oriented mi viene da dire) che le Union permettono ai lavoratori di “saltare” da un progetto (completato) all’altro (in partenza).
Qui si inserisce poi tutto il discorso relativo alla tutela dei lavoratori, tema collegato più in generale a quello dello standard di vita. Il Canada è puntualmente inserito fra i Paesei con la più alta qualità della vita, se non proprio il primo in assoluto. Uno degli elementi che contribuiscono a questo primato è, per l’appunto, quello lavorativo. Il lavoro è rispettato a ogni livello, con tutele molto avanzate ed efficaci, ad esempio, in materia di discriminazione e molestie. C’è, però, un aspetto che trovo particolarmente significativo: il lavoro svolto viene sempre retribuito, e bene. Non si lavora mai gratis o “per la gloria” e un datore di lavoro (o un committente, qualora si parli di subappalti) mai si permetterà di non riconoscere il dovuto o esigere una prestazione “per cortesia” o “in amicizia”: qui è una regola etica prima che una norma. La flessibilità del mercato poi – dove spesso si lavora a giornata o addirittura a ore (penso chiaramente al settore in cui opero io) – permette ai prestatori di lavoro di potersi muovere con grande facilità sul mercato alla ricerca delle opportunità più convenienti e, per l’appunto, più rispettose del cosiddetto work-life balance.
Quanto appena detto costituisce però anche un rischio importante per le aziende e le realtà progettuali: il turnover del personale è veramente molto alto e la forza lavoro si muove con le fluttuazioni del mercato. In altre parole, se un’azienda o un settore pagano o trattano meglio, ci si sposta là, con potenziale pregiudizio verso il contesto in cui si sta operando. Questo fenomeno, insieme a un altro non collegato, e cioè quello del rischio ambientale/meteorologico, è secondo me alla base della scelta di tipologie contrattuali particolari nel mondo delle infrastrutture. Infatti, per gestire i forti incrementi di costo che i nostri progetti subiscono, si predilige il contratto d’appalto a misura (o time and materials) rispetto al contratto a prezzo fisso (lump sum e derivati) che invece va forte nella quasi totalità del resto del mondo. Per questa ragione, molti contractor che si affacciano sul Canada per la prima devono adattare i propri modelli di gestione economico-finanziaria delle commesse ad un project management quasi più rivolto alla gestione delle risorse che al monitoraggio della consegna finale. Queste sfide, ovviamente, aumenteranno man mano che ci si avvicina ai progetti infrastrutturali della transizione energetica.
Come abbiamo evidenziato più volte, il Canada punta molto sulla transizione energetica e intende porsi come avamposto strategico anche nei confronti degli altri Paesi per permettere la transizione verso un’energia più sostenibile. Ecco, puoi fare un veloce passaggio su questo tema?
Come avevamo discusso nel corso di una chiacchierata precedente, il Canada, sia a livello federale che provinciale, ha sviluppato delle strategie di sequestro dell’anidride carbonica (CO2) basate su scenari di carbon tax e incentivi fiscali volti a stimolare gli investimenti nei cosiddetti hub di CO2, il tutto finalizzato ovviamente a ridurre le emissioni di gas serra. Questi hub faciliteranno il trasporto ed il sequestro della CO2, rendendo la costruzione di impianti di sequestro più efficiente dal punto di vista dei costi oltre che, chiaramente della sostenibilità. C’è, poi, tutta la tematica relativa allo sviluppo degli standard per i combustibili puliti (clean fuel), che richiedono alle aziende energetiche di ridurre la carbon intensity legata al combustibile. Infine, c’è, naturalmente, il tema idrogeno, che ha già visto l’annuncio di grandi progetti e che è pensato per la fornitura alle raffinerie ma anche per il mobility e la decarburazione della rete gas che fornisce l’industria e il consumatore residenziale.
Ovviamente, la transizione non potrà essere improvvisa e il supporto dell’(e all’)oil and gas tradizionale non dovrà mancare in questa fase delicata. Leggevo proprio da poco un commento dell’Amministratore Delegato di BP, il quale enfatizzava l’importanza di calmierare i prezzi del greggio e del gas – proprio per continuare a rendere i servizi accessibili – mantenendo adeguato il livello di fornitura attraverso nuovi investimenti nell’oil and gas “E” nella tranisizione energetica.
Insomma, nei prossimi mesi avremo tanti temi da discutere insieme a te...
Certamente. Ho toccato una serie di temi “cari”, ma c’è chiaramente molto di più. Nei mesi a venire vorrei spingere sull’organizzazione di eventi e dibatti su queste materie, coinvolgendo anche esperti di settore che ho avuto la fortuna di conoscere, anche lavorativamente, sia in Italia che in Canada.
Non vediamo l'ora, Giulio. Grazie per la tua disponibilità e professionalità.
A rileggerci presto!
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