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Il Nafta è un accordo che «esiste e continuerà ad esistere»

Il Nafta è un accordo che «esiste e continuerà ad esistere»

La sintesi dell’intervento del Capo Negoziatore del Québec Raymond Bachand sulla complessa rinegoziazione del NAFTA, in apertura dell’International Summer School “Law and Bilateral Trade: North America-Europe” all’Université de Montréal.

 

* Francesco Maria Froldi

Raymond Bachand, Capo-Negoziatore del Québec nell’ambito della rinegoziazione del NAFTA/ALENA, ha aperto, il  maggio scorso, la terza edizione della International Summer School “Law and Bilateral Trade: North America – Europe” presso l’Université de Montréal, organizzata in collaborazione con l’Università Statale di Milano sui temi inerenti la politica commerciale internazionale e i rapporti che intercorrono tra Unione Europea e Nord America. 

La rinegoziazione del NAFTA/ALENA è tra i dossier più sensibili della politica internazionale globale: l’accordo di libero scambio commerciale, stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico ed entrato in vigore il 1° gennaio 1994, è infatti attualmente sottoposto ad una difficile e incerta rinegoziazione, voluta con forza dal Presidente americano Donald Trump. 

L’intervento di Bachand si è concentrato sui principali problemi della rinegoziazione che lo vedono in prima linea come rappresentante del Québec negli organismi provinciali e federali, al fine di difendere gli interessi della Provincia canadese durante i colloqui di rinegoziazione che saranno lanciati a metà agosto. Ex membro dell'Assemblea nazionale del Québec (MNA) per la guida di Outremont e esponente del Caucus del Partito Liberale del Québec,  Raymond Bachand è stato ministro delle Finanze e delle Entrate del Governo del premier Jean Charest. Ha inoltre ricoperto il ruolo di ministro del Turismo tra aprile 2007 e dicembre 2008, e di ministro dello Sviluppo Economico, dell'Innovazione e del Commercio Internazionale fino a giugno 2009. 

Già dallo scorso febbraio 2018 era stato chiamato come consigliere speciale del Governo provinciale per quanto riguarda l'accordo di libero scambio nordamericano. 

 

“I PRINCIPALI PROBLEMI DELLA RINEGOZIAZIONE DEL TRATTATO NAFTA/ALENA” 

Sintesi dell’intervento di Raymond Bachard in occasione dell’apertura dell’International Summer School “Law And Bilateral Trade: North America – Europe” presso l’Université de Montréal

 

IL NAFTA: L’ANTENATO DEGLI FTAs 

Il North American Free Trade Agreement (NAFTA), l’accordo di libero scambio commerciale stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico, facilita la libera circolazione di beni, merci e servizi tra i tre paesi firmatari con l'eliminazione progressiva di tariffe doganali e dazi, creando inoltre una zona di agevolata mobilità per i lavoratori.

Dopo aver più volte messo al centro della propria campagna elettorale i presunti danni creati dal Nafta agli Stati Uniti, Trump viene eletto Presidente degli Stati Uniti e, prestando fede alle promesse elettorali, invia una lettera al Congresso chiedendone la rinegoziazione e dando via ai round di trattative. 

Addebitandogli la responsabilità del deficit commerciale tra Messico e USA e la perdita di 800 mila posti di lavoro in USA a vantaggio della manodopera messicana, Trump ha definito più volte il Nafta come  «il peggior accordo commerciale nella storia del paese». Ciononostante, i più recenti studi indicano che circa nove milioni e mezzo di americani hanno oggi un lavoro grazie ai soli scambi di beni e servizi con il Canada, il cui valore ammonta a 635 miliardi $ US. 

 

LA RINEGOZIAZIONE 

La rinegoziazione del trattato vede in discussione circa trenta capitoli, ciascuno dei quali inerente ad un’area di interesse1 specifica. A maggio 2018 sono state aperte sette tavoli di negoziato, l’ultimo previsto a Washington dopo le discussioni ministeriali di aprile. 

Alcuni capitoli (anticorruzione, concorrenza, cooperazione regolamentare, misure sanitarie e fitosanitarie, pubblicazione e amministrazione, piccole e medie imprese) risultano consolidati e su altri sono stati raggiunti sostanziali progressi (commercio informatico, telecomunicazioni, ostacoli tecnici al commercio). Tuttavia, circa dieci capitoli pongono ancora problemi e impediscono la chiusura delle negoziazioni

In particolare, la negoziazione di tre elementi rende incerto l’esito delle discussioni:

  1. L’esagerazione del numero di reclami per i diritti compensatori. Si tratta dei dazi addizionali anti-dumping imposti da un paese importatore per compensare le sovvenzioni pubbliche del paese esportatore, nei casi in cui le importazioni sovvenzionate causano un pregiudizio grave all'industria nazionale del paese importatore.
  2. Le inchieste globali su acciaio e alluminio che hanno portato gli USA a chiedere l’introduzione di nuovi dazi, rispettivamente del 25% e del 10%. I governi di Ottawa e Città del Messico hanno subito promesso ritorsioni commerciali contro gli Stati Uniti definendo tali dazi come “totalmente inaccettabili” e un “affronto” all’alleanza nord-americana.
  3. Le importanti riforme regolamentari introdotte dall’amministrazione Trump, tra cui quella relativa alla fiscalità federale.

 

LE RICHIESTE DEGLI USA

Sono molte le proposte portate (e in qualche modo imposte) dall’amministrazione americana ai tavoli dei negoziati, tra queste:

  • l’introduzione di una “sunset clause”, in altre parole l’accordo non rimarrebbe valido indefinitamente, ma scadrebbe dopo cinque anni, lasciando aperta la possibilità ai suoi membri di rinegoziarlo o di uscirne; 
  • l’aumento della soglia de minimis - cioè la soglia sotto la quale vi è una completa esenzione dai dazi doganali -  sui prodotti tecnologici ed elettronici da 20 $ a 800 $ che renderebbe più difficile per Canada e Messico come per tutti gli altri paesi dell’OMC (essendo nell’OMC più bassa la soglia prevista) l’accesso al mercato statunitense;
  • l’eliminazione del sistema delle quote che protegge le tariffe dei prodotti caseari, delle carni di volatile e delle uova da parte dell’amministrazione canadese, il cui obiettivo è di impedire le fluttuazioni di mercato, pur non basandosi su un sistema di sovvenzioni pubbliche (contrariamente al sistema presente in UE e regolato dalla PAC);
  • la non introduzione del capitolo sulla regolamentazione delle controversie tra investitore e Stato, che lascerebbe agli USA la sovranità in materia di litigi. Secondo gli esperti, l’introduzione di tale capitolo comporterebbe una maggiore sicurezza in caso di controversia e quindi un aumento degli investimenti (evitando influenze politiche e/o corruzioni talvolta possibili nel corso di arbitrati internazionali).

Il vero ago della bilancia sembra essere inoltre la penalizzazione delle importazioni di automobili in territorio USA, attraverso l’introduzione di un dazio che potrebbe innalzarsi fino al 25% del valore del prodotto. Il raggiungimento di questo obiettivo, a discapito di alleati come Europa, Canada e Messico, permetterebbe agli Stati Uniti di vincere un pericoloso braccio di ferro politico. Fino a quando non si risolverà la questione dei dazi sulle automobili, secondo Bachand, il Nafta resterà nel limbo dell’incertezza politica e giuridica.

 

LA POSIZIONE DEI TRE PAESI NELLE RINEGOZIAZIONI

Canada, Messico e Stati Uniti sono i tre soggetti giuridici internazionali firmatari del Nafta.

Il Canada è uno stato federale composto da 13 tra Province e Territori. La competenza di negoziare, firmare e ratificare un accordo internazionale spetta al solo esecutivo federale mentre l’applicazione interna dei Trattati spetta talvolta al governo federale, talvolta a quello provinciale, a seconda della ripartizione delle competenze prevista dalla legge costituzionale del 1867 (Art 91-92). Nella negoziazione internazionale del Nafta, e nella sua attuale rinegoziazione, il Canada ha deciso di condurre le trattative solo dopo aver convocato ad Ottawa i rappresentanti delle Province, essendo così certo di farsi portavoce dinanzi a USA e Messico di una posizione canadese condivisa2

Il Messico è sicuramente un grande beneficiario del NAFTA, considerato tra i principali catalizzatori dello sviluppo, della crescita e della stabilizzazione economica del paese. Come “Low Cost Producer” il Messico ha il vantaggio di attirare investimenti e di esportare manodopera a basso costo. Nell’attuale fase di rinegoziazione, richiede a gran voce l’introduzione di un nuovo capitolo che regoli le politiche di anti-corruzione.

Con il Canada, il Messico sarebbe oggi pronto a finalizzare le negoziazioni. Ciononostante gli USA pongono un blocco ai negoziati. La confusione e le contraddizioni che caratterizzano l’amministrazione Trump in questo ambito sono da ricondurre in primo luogo alle divisioni al suo interno, tra i sostenitori delle politiche protezioniste e coloro che restano su posizioni più moderate, oltre che alla volontà presidenziale di ottenere modifiche ai trattati di libero scambio in vigore e di riequilibrare la bilancia commerciale americana grazie alla capacità di “persuasione” economica e militare di Washington. 

Alcune voci sostengono che neanche lo stesso negoziatore statunitense in capo conosca i limiti del suo mandato, non essendo quindi in grado di prendere posizioni chiare nei confronti dei due partner politici. Non è dunque difficile credere all’ipotesi di un eventuale ritiro degli USA dall’accordo più volte minacciato dallo stesso Presidente Trump.

 

L’IPOTESI DI UN RITIRO

L’ipotesi di un ritiro degli USA dal Nafta ha comportato un drammatico crollo degli investimenti nel territorio nord americano. Ma sarebbe veritiera una tale ipotesi? Nulla impedisce ad uno Stato di ritirarsi da un Accordo internazionale come il Nafta. Tuttavia, anche se la legge USA permette a un Presidente americano di agire sulle tariffe senza passare dal Congresso -  al solo fine di impedire un rischio alla sicurezza nazionale americana (è il caso degli aumenti dei dazi che Trump vorrebbe imporre ad automobili, acciaio e alluminio) - un presidente americano non può decidere di ritirarsi da un accordo internazionale senza aver dato un preavviso scritto di almeno 6 mesi al Congresso. Incerta resta tuttavia la possibilità del Presidente di ritirarsi dal Nafta senza intervento del Congresso ed, eventualmente, in mancanza di una sua autorizzazione.

Ugualmente incerti appaiono gli sviluppi di un possibile ritiro, per quanto riguarda le misure legislative che potrebbero essere prese (o meno) per modificare o ristabilire gli equilibri interni del Nafta. Il Parlamento ed il Congresso sarebbero obbligati ad adottare leggi necessarie per colmare le lacune lasciate dal ritiro, mentre le tariffe ed i dazi doganali tornerebbero ai tassi previsti dall’OMC (con eccezione delle relazioni Canada-USA che continuerebbero ad essere regolate secondo il diritto internazionale del più antico accordo bilaterale ALE). Tuttavia, ad eccezione del Presidente americano, sembra che nessun Senatore sia così tanto ostile al Nafta da negarne la rinegoziazione e la sua continuazione. L’imminente rinnovo del Congresso e di circa un terzo del Senato allontana in ogni caso la possibilità di un ritiro immediato degli USA dal Nafta.

Ciò che sembra essere sicuro è che il Nafta resterebbe in vigore fino a eventuali misure ufficiali prese dagli Stati Uniti che comunque non inficerebbero in alcun modo la validità dell’accordo tra Messico e Canada.  Il Nafta è un accordo che «esiste e continuerà ad esistere».

 

IL RISCHIO DI INDEBOLIMENTO DEL NAFTA

Nonostante la posizione di Trump espressa durante la  sua campagna elettorale, il vero rischio che incombe sulle economie di Canada e USA non è il lento sviluppo del Messico, quanto piuttosto la rapida crescita della concorrenza economica (più o meno leale) di alcuni mercati internazionali, primo fra tutti il mercato cinese

Il tentativo di Trump di invertire il declino della posizione internazionale degli USA, attraverso il sovvertimento delle impalcature economiche e commerciali consolidate, rischia infatti di essere controproducente, isolando gli stessi USA e minacciando la loro economia. In un momento storico in cui l’Asia risulta non avere rivali in quanto a competitività tecnologica e manodopera a basso prezzo, l’alleanza di Paesi industrializzati è ancor più necessaria e garantisce un unico accesso all’intera regione nord americana da parte degli investitori.

Il Canada ha assunto ultimamente una strategia commerciale di grande apertura ad altri mercati. Ne è chiaro esempio la negoziazione del CETA/AECG tra Canada e Unione Europea, un trattato applicato oggi provvisoriamente, in attesa che tutti gli stati membri dell’UE lo ratifichino secondo le procedure nazionali, riguardante l’accesso di beni, servizi e merci ad un mercato di 500 milioni di persone che sfiora il 20% del PIL mondiale. Il Canada è oggi l’unico Paese in cui gli investitori potranno accedere facilmente ai mercati europei e nordamericani grazie ai trattati di libero scambio (NAFTA e CETA), avendo la possibilità di interagire in una zona che comprende un miliardo di persone e che rappresenta quasi il 50% del PIL mondiale.

 

*Ricercatore di Diritto Comparato 

Université de Montréal

 

1 Agricoltura, beni, regole d’origine, procedure doganali, energia, anticorruzione, misure sanitarie e fitosanitarie, mercati pubblici, investimenti, ostacoli tecnici al commercio, cooperazione regolamentare, servizi, telecomunicazioni, commercio informatico, entrata provvisoria, concorrenza, servizi finanziari, monopoli ed aziende di stato, proprietà intellettuale, lavoro, ambiente, capitolo 19 (che include i ricorsi commerciali), regolamentazione delle controversie, disposizioni istituzionali (che includono la cultura), uguaglianza dei sessi, commercio e popoli autoctoni.

2 Lo stesso non può dirsi dei negoziati tra Canada e UE riguardo al CETA/AECG, oggi conclusi, che hanno visto da una parte il negoziatore in capo dell’Unione Europea e dall’altra i diversi rappresentanti delle Provincie e dei Territori canadesi. Una tale decisione, proposta dalla Commissione Europea, ebbe come obiettivo quello di garantire l’accesso ai mercati delle singole regioni canadesi, senza il rischio di un eventuale non applicazione dell’Accordo a livello locale.