I vantaggi per l'Italia del CETA di cui nessuno parla
Un ritorno allo status quo precedente al CETA danneggerebbe le imprese italiane. Lo dimostrano i numeri.
Paolo Quattrocchi*
I dati del 1°quadrimestre 2018, calcolati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, danno il valore dell’export italiano diretto in Canada in sensibile crescita con un +11%, corrispondente ad un aumento del valore delle esportazioni da 2,4 a 2,7 miliardi di dollari canadesi.
Il dato è la sintesi di un sostanziale aumento dell’export in tutti i settori, compreso l’agroalimentare che, da settembre 2017 a febbraio 2018, ha fatto registrare un +14%.
Cosa è intervenuto di nuovo nell’ambito delle relazioni commerciali tra Italia e Canada da settembre 2017 è di pubblico dominio e per chi vorrà approfondire potrà trovarne ampia discussione sul sito del Centro Studi Italia Canada: dal 21 settembre 2017 è in esecuzione provvisoria il CETA, l’accordo di libero scambio siglato tra Canada e Unione Europea.
I dati sul valore raggiunto dal Made in Italy nelle importazioni canadesi sono stati diffusi dall’Agenzia ICE Toronto con un’analisi svolta sulla base dei principali indicatori economici ed i recenti sviluppi dovuti al CETA.
Questi numeri contraddicono gran parte della narrazione anti-CETA, che si basa su teorie non confermate da alcuna evidenza.
LE ESPORTAZIONI DELL’ITALIA VERSO IL CANADA: DATI A CONFRONTO1
I valori in tabella sono espressi in $ mln CAD.
LA BILANCIA COMMERCIALE FAVORISCE L’ITALIA
Se consideriamo invece le importazioni dell’Italia dal Canada, si assiste ad un aumento del 24%, fermo restando che la bilancia commerciale favorisce l'Italia, in quanto il valore economico delle esportazioni del Canada verso l’Italia è di $ 892 mln CAD ed è estremamente inferiore al valore delle esportazioni italiane verso il Canada riportato in tabella ($ 2,7 mld CAD).
LE IMPORTAZIONI DEL GRANO CANADESE SONO DIMINUITE
Di fatto il Canada ricopre un ruolo di importatore netto e la tanto temuta invasione di prodotti agroalimentari canadesi (ritenuti da taluni di dubbia qualità) non si è verificata. Al contrario, si registra una sensibile riduzione delle importazioni di grano canadese del 47% per il frumento tenero e del 91% per il frumento duro.
A tal proposito va menzionato il Regolamento UE/2014 che, in materia di dazi sull’importazione di grano dal Canada, disponeva l’azzeramento della soglia: ciò dunque esenta il CETA da responsabilità di cambiamento della regolamentazione.
I dati evidenziano che il Canada ha perso quello che storicamente era considerato il primo e quindi il miglior acquirente di grano canadese, vale a dire l’Italia. Dobbiamo ricordare infatti che per decenni ci siamo nutriti con il grano canadese, ma ben venga oggi un cambiamento soprattutto se fa bene alle tasche dei nostri agricoltori.
Fin qui nessun problema quindi: positivo il miglioramento della bilancia commerciale, positiva l’evidente e ottima produzione di grano domestico che ci consente di non acquistare all’estero.
LE NORME DI SICUREZZA ALIMENTARI SONO RISPETTATE DAL CETA
Inoltre, va ricordato che le disposizioni del CETA non violano le norme di diritto comunitario dell’Unione Europea in materia di sicurezza alimentare, ma garantiscono il rispetto delle misure sanitarie e fitosanitarie previste.
E sul punto vale la pena di ricordare che il Canada sta riformando il quadro normativo sulla sicurezza alimentare, una modernizzazione del proprio sistema di ispezioni alimentari e rintracciabilità in linea con quanto applicato a livello internazionale.
Perché dunque si continua ancora a guardare al CETA come alla madre di tutte le sventure? I dati menzionati e certificati sono l’espressione di quanto si è realmente verificato a seguito dell’entrata in vigore provvisoria del CETA.
GRAZIE AL CETA È STATO RICONOSCIUTO IL 90% DEL VALORE DELLE IG ITALIANE
Con l’abbattimento dei dazi doganali e il riconoscimento di 41 indicazioni geografiche (corrispondenti al 90% del valore totale delle IG italiane esportate in Canada) non solo è stato possibile l’aumento delle esportazioni, ma proprio grazie al CETA prodotti dell’eccellenza italiana, che fino a settembre 2017 non potevano essere esportati in Canada con le denominazioni originali, hanno potuto essere presenti a pieno titolo e con la dignità che meritano negli scaffali canadesi.
Quali sarebbero le conseguenze di una mancata ratifica del CETA? Reintroduzione dei dazi doganali per l’export italiano e mancato riconoscimento delle IG italiane.
La mancata ratifica del CETA avrebbe come prima conseguenza la reintroduzione dei dazi doganali su tutti i prodotti che esportiamo in Canada e, per quanto riguarda il comparto agri-food, il ritorno al precedente (sfavorevole) regime di trattamento per le eccellenze tradizionali italiane, che si ritroverebbero nuovamente condannate in blocco, senza eccezioni, al mancato riconoscimento delle rispettive denominazioni d'origine.
Peraltro la struttura stessa del CETA, per come è stato ideato e costruito dai negoziatori, lungi dall’essere un monolite immodificabile, prevede ancora (seppur mediante un meccanismo articolato) la possibilità di aggiungere a quelle riconosciute all’atto delle firma altre identificazioni geografiche che nel tempo vengano ritenute meritevoli della tutela riconosciuta dal CETA. Non si tiene infatti conto che è proprio il concetto di indicazione geografica ad essere, giuridicamente, se non del tutto sconosciuto (già in seguito all'accordo TRIPs era stato accolto, non senza difficoltà, per wines & spirits), concetto tradizionalmente estraneo all'ordinamento giuridico canadese che invece segue, per il settore agri-food, un sistema di tutela basato sulla protezione del marchio. Non è sempre facile coniugare sistemi giuridici derivanti da tradizioni diverse, ma l’aspetto positivo sta proprio nel fatto che il Canada ha accettato l’esistenza delle denominazioni geografiche, seppure con una portata, nel numero (e solo nel numero si badi bene, non nel valore) ridotto rispetto alle numerose IG riconosciute a livello UE.
Del resto forse vale la pena di considerare i valori (in termini di produzione e export) che alcune IG rappresentano: importanti per la tradizione italiana, ma poco rilevanti per il loro peso commerciale e soprattutto per la esportabilità sui mercati internazionali.
Per il resto, come abbiamo detto, il CETA è un accordo ancora “aperto” e speriamo quindi che si riesca a considerare positivamente tale accordo nella sua accezione migliore di accordo di libero scambio che, del resto, in pochissimi mesi dall’entrata in vigore ci vede, come abbiamo osservato, già beneficiari dei vantaggi maggiori, tanto per aumento dell’export che per riduzione dell’import (quanto meno su uno specifico e controverso prodotto come il grano), e che, dunque, riteniamo vada vissuto solo come un’opportunità.
*Equity Partner di NCTM Studio Legale,
vice Presidente ICCCW,
Direttore Centro Studi Italia-Canada