Food & Beverage italiano in Nord America tra risultati e prospettive. Il CETA spingerà l'export
Da un’indagine dell’Agrifood Monitor, presentata al Forum del 29 settembre scorso, emergono le opportunità di crescita per l’agroalimentare italiano in Nord America e in Canada la reputazione del Made in Italy avanza.
*Francesca Paolucci
Il posizionamento competitivo del Food&Beverage italiano in USA e Canada ha numeri di record, ma ancora grandi prospettive di crescita, anche in considerazione del Free Trade Agreement CETA tra Europa e Canada. Il tema è al centro della Ricerca Agrifood Monitor, presentata il 29 settembre scorso, presso il Palazzo di Varignana a Bologna, da Agrifood Monitor, piattaforma del business agroalimentare, nata su iniziativa di Nomisma in collaborazione con Crif.
L’indagine è partita dai principali indicatori economici relativi alle quantità e tipologia degli scambi commerciali tra l’Italia e il Nord America (Canada e Usa). Per quanto riguarda Canada e Italia, nel 2017, la bilancia commerciale dei due Paesi ha registrato un aumento dell’export e dell’import di merci: per l’export si è passati dai 1773,46 milioni di euro del 2016, ai 1906,17 milioni del 2017; per quanto riguarda l’import, dai 751,26 milioni di euro ai 813,97 milioni di euro attuali.
Come per gli anni precedenti, i beni italiani più esportati sono stati proprio i prodotti alimentari e le bevande: vino (40%), olio d’oliva (14%), formaggi (6%), pasta (5%). Il Food&Beverage occupa, dunque, una parte consistente dell’export italiano in Nord America (USA e Canada) con un valore totale che nel 2016 ha superato i 4,6 miliardi di euro (circa il 12% del totale), di cui 766 milioni di euro verso il Canada, per il quale è prevista un’ulteriore crescita nel breve periodo, in seguito all’esecuzione provvisoria dell’accordo CETA dal 21 settembre.
L’indagine dell’Agrifood Monitor si inserisce infatti in un contesto di mercato dove grande rilevanza ha l’approvazione da parte di Unione Europea e Canada del free trade agreement CETA, attualmente in attesa di ratifica degli Stati Membri. L’accordo economico e commerciale prevede, infatti tra le altre cose, il quasi totale annullamento delle tariffe doganali (98%) per l’interscambio di beni e servizi, di capitale umano e l’agevolazione di investimenti, comportando un cospicuo aumento dei ricavi ed un ridimensionamento dei costi, oltre all’avvio di un’apertura totale dei rapporti Canada-Europa.
Identikit del consumatore canadese di prodotti alimentari italiani
Interessanti risultati per ciò che concerne le caratteristiche del consumatore tipo canadese emergono dalla ricerca: ‘identikit dell’authentic user di prodotti alimentari italiani’. Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma, ha spiegato che il ‘canadese tipo’ più attratto dal F&B italiano sulla popolazione totale equivale all’11% ed è il consumatore con reddito familiare alto, di età media tra i 52 ed i 65 anni, con un alto livello d’istruzione, fruitore di servizi web e tv, tramite i quali si informa sui prodotti alimentari e corsi di cucina. Da qui, è stata poi introdotta l’analisi effettuata sulle modalità preferite del cittadino canadese per conoscere i prodotti italiani, rilevando una preferenza nel 37% dei casi per le degustazioni di vini e cibi.
Le potenzialità di espansione per i prodotti italiani sul mercato nordamericano si misurano anche e soprattutto in termini di reputazione. Sebbene il prezzo resti il primo criterio nell’acquisto di un prodotto alimentare per oltre il 20% di consumatori, il Made in Italy si posiziona al secondo posto nel qualitative reputation ranking canadese, preceduto solo dagli USA, primo esportatore in Canada. La qualità è l’elemento strategico più rilevante dell’export italiano in tutto il mondo, rispetto a realtà economiche caratterizzate invece da produzioni quantitativamente elevate ma di qualità ridotta, per lo più provenienti dall’Estremo Oriente, che detengono una consistente fetta del commercio estero.
La difficoltà, in molti casi, per l’Italia è far comprendere a pieno le caratteristiche che rendono i prodotti italiani unici e che spesso si traducono in riconoscimenti geografici e qualitativi.
L’accordo CETA dispone il riconoscimento di molte delle indicazioni geografiche del Food&Beverage italiano: in questa prospettiva, tali prodotti godono di una garanzia in più in materia di riconoscimento qualitativo e ciò potrebbe incrementare le esportazioni controllate, favorendo un’espansione del mercato e un miglioramento della percezione del Made in Italy in Canada.
I benefici che l’Italia può trarre dal riconoscimento delle denominazioni d’origine grazie al CETA sono stati al centro del dibatto proprio in occasione del Forum Agrifood Monitor. Paolo Tramelli (Responsabile Marketing Consorzio Tutela Prosciutto di Parma, Marianna Simeone (delegata del Québec a Roma) e Jan Scazighino (Ministro Consigliere Economico–Commerciale Ambasciata del Canada in Italia), hanno in questa occasione sottolineato come i negoziatori abbiano raggiunto un grande obiettivo. Il concetto di Indicazioni Geografiche, infatti, è completamente sconosciuto al mercato nordamericano, come dimostrato dalla totale chiusura da parte degli USA al riconoscimento delle stesse durante i negoziati per TTIP. Ciononostante, sono state incluse nel CETA il 90% del valore di mercato delle denominazioni europee, rimanendo, per ora, fuori dall’accordo solo 130 prodotti. Per la prima volta, un trattato commerciale con il Canada prevede un riconoscimento dei prodotti europei, una chiara tutela contro la pirateria.
Jan Scazighino ha posto poi l’accento sui benefici per le 10 mila PMI italiane che investiranno ed esporteranno in Canada, avvantaggiandosi dell’annullamento delle barriere doganali.
Ulteriori considerazioni espresse sulle disposizioni CETA hanno portato ad un dibattito su ciò che cambierà realmente e sui vantaggi che ne conseguiranno per il tessuto imprenditoriale italiano del F&B, per l’economia del Paese e per la soddisfazione dei consumatori canadesi, la crescita della quale produrrà un rafforzamento della reputazione Made in Italy e la sua diffusione in aree nelle quali esistono margini di miglioramento della presenza dei prodotti italiani, come emerso dalla Ricerca presentata.
L’analisi economica Agrifood Monitor è stata svolta, infatti, sulla base di una survey su un campione di 2500 consumatori statunitensi e 2500 canadesi, rappresentativi di diverse aree geografiche. Come ha evidenziato Andrea Goldstein, chief economist di Nomisma, dai dati del 2016 emerge infatti che, sia in Canada che negli Stati Uniti, i rapporti commerciali con l’Italia variano a seconda delle aree geografiche analizzate: principale fonte di importazione dei prodotti agroalimentari italiani sono Ontario e Québec per il Canada (oltre 300 milioni di euro) e New York e California per gli USA (oltre 500 milioni di euro. L’entroterra statunitense e le province canadesi occidentali sono aree, quindi, che permettono un lavoro strategico di penetrazione nel mercato, lo sviluppo di nuove relazioni commerciali e una crescita del valore di interscambio.
Per quanto concerne, poi, l’indice di rischiosità commerciale ai vari livelli di mercato (industria, ingrosso e commercio a dettaglio), in occasione della presentazione della ricerca, Niccolò Zuffetti, Marketing Manager di CRIBIS, ha sottolineato come il Nord America vanti un tasso di rischio commerciale del F&B mediamente inferiore a quello italiano e di altri Paesi europei, pur tenendo presenti le diversità tra la struttura imprenditoriale americana (per lo più grandi multinazionali) e quella italiana (caratterizzata da un elevato numero di piccole e medie imprese).
L’evento di presentazione dell’indagine di Agrifood Monitor si è conclusa con una Tavola Rotonda, alla quale hanno preso parte, oltre ai già citati Jan Scazighino e Paolo Tramelli, anche il Presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, Vittorio Capanna, Presidente del Consorzio Tutela del Prosciutto di Parma, Paolo De Castro, Primo Vice Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo, Luigi Scordamaglia, Presidente Federalimentare, Michele Scannavini, Presidente ICE-Agenzia.
La promozione del Made in Italy, su cui l’Italia ha investito finora 79 milioni di euro, è alla base dei processi di internazionalizzazione, ha sottolineato il Presidente di ICE, ma deve confrontarsi con l’italian sounding, un fenomeno dilagante in questi ultimi anni, soprattutto nelle aree in cui c’è una forte assenza di penetrazione del commercio italiano, che consiste nell’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano il Bel Paese, per promuovere prodotti che nulla hanno a che fare con l’Italia.
*Coordinamento e ricerca Centro Studi Italia-Canada