First Nations: un tema chiave in vista delle elezioni federali di ottobre in Canada
Affrontiamo per la prima volta il tema del ruolo dei popoli nativi nella società canadese, sul quale il dibattito in Canada è sempre molto acceso, e in particolare in vista delle elezioni federali di ottobre.
La riconciliazione con i popoli nativi in Canada non passa solo attraverso il riconoscimento degli abusi commessi, le scuse di Stato, i risarcimenti economici. Non può nemmeno ridursi a un riassunto del complesso percorso legislativo dall’eredità coloniale a oggi.
È soprattutto la storia di un doloroso cambiamento culturale (ancora in atto), che ha già portato il Canada a essere un modello internazionale nelle politiche di integrazione.
Nadia Deisori*
A poche settimane dalle elezioni in Canada, Conservatori e Liberali, dicono i sondaggi, stanno competendo testa a testa. Il voto è così fluido che un canadese su cinque è aperto a dare la preferenza per tre o più dei principali partiti politici. Il ruolo del Green Party porterà sorprese, ci si chiede, come anche se si riuscirà a mobilitare il voto dei popoli nativi, tradizionalmente poco attivi nelle elezioni federali. Intanto, qualunque voto strappato all’avversario farà la differenza, soprattutto sui temi caldi del dibattito politico canadese. E tra questi, non manca la questione di come far progredire il processo di riconciliazione con i popoli nativi. Quali politiche attivare in merito ai diritti delle First Nations e delle loro terre sarà tra le priorità di qualunque governo futuro.
Un movimento positivo della tradizionale bassa affluenza delle First Nations potrebbe fare la differenza in favore dell'elezione di un governo di minoranza guidato dal New Democratic Party (NDP). Il voto delle First Nations è invocato anche dai Liberali, consci del fatto che nelle Province Occidentali i sondaggi li danno totalmente in svantaggio sui Conservatori. Ma la questione è in parte spinosa per la campagna elettorale di Trudeau, minata dalle cosiddette accuse di “false promesse” nei confronti dei nativi della precedente corsa elettorale.
Sia il Partito Liberale che l’NDP hanno promesso un'indagine nazionale sugli alti tassi di donne e ragazze native scomparse e uccise e si sono inoltre impegnati a finanziare le riforme dell'istruzione, garantire che le decisioni del governo rispettino i diritti dei trattati e attuare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti degli indigeni, un documento del 2007 nato per proteggere le popolazioni indigene dalla discriminazione.
L’eredità del colonialismo canadese è un argomento per lo più sconosciuto in Italia, che come Centro Studi Italia Canada siamo interessati ad approfondire, certo per l’importanza che sta ricoprendo in questa fase elettorale e che ricoprirà nell’agenda politica del governo nascituro, ma anche per gli spunti che l’Europa può trarre dal Canada in tema di politiche di integrazione. Si rende quindi necessario capire chi sono i popoli nativi canadesi e come si è arrivati al riconoscimento dei loro diritti.
I popoli nativi del Canada
Con “Popoli indigeni” o “aborigeni” si fa riferimento in Canada ai popoli originari del Nord America e ai loro discendenti. Il Constitution Act, 1982, section 35 ha riconosciuto tre distinti gruppi di popolazioni indigene (aborigene): i nativi/amerindi o impropriamente indiani (indicati come First Nations o in francese Premiéres Nations), i Métis, cioè i discendenti delle unioni tra nativi e franco-canadesi, inglesi e scozzesi nei primi anni della colonizzazione, e gli eschimesi/Inuit.
I tre gruppi di autoctoni raggiungono circa il 4,9% della popolazione canadese. I dati del censimento del 2016 hanno mostrato che la quota della popolazione nativa sulla popolazione totale del Canada è in aumento. Nel 1996, le persone con origini native rappresentavano solo il 3,8% della popolazione totale.
Va detto che, accanto a fattori demografici come l’elevato tasso di fertilità e il calo della mortalità infantile, già dal precedente censimento del 2001, si era registrata una maggiore tendenza delle persone a identificarsi come appartenenti ai gruppi nativi.
First Nations, chi sono e dove vivono
Le First Nations sono il gruppo numericamente più consistente tra i 3 gruppi: rappresentano il 58% con oltre 970 mila persone, secondo il censimento citato.
La popolazione include:
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coloro che sono membri di una delle oltre 600 First Nations, l'unità basilare di governo dei popoli secondo l’Indian Act;
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coloro che hanno uno status di “Registred Indian”, cioè le persone incluse nel registro tenuto dal Ministero Canadese degli Affari Indiani, istituito con l’Indian Act, oppure di “Treaty Indians”, ovvero persone che appartengono a una prima nazione firmataria di un trattato con la Corona;
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coloro che non hanno tali status codificati (non-status indians).
Il numero di persone appartenenti alle First Nations con status registrato o discendente da un Trattato è aumentato del 30,8% dal 2006 al 2016 e costituisce il 76,2% delle First Nations.
Il restante 23,8% è non-status indian, cresciuto del 75,1% dal 2006, ha raggiunto le 232.375 unità nel 2016.
Il 44,2% delle First Nations con status vive all’interno delle riserve.
La popolazione si concentra nelle province occidentali per oltre la metà: nella Columbia Britannica (17,7%), Alberta (14,0%), Manitoba (13,4%) e Saskatchewan (11,7%). Un quarto (24,2%) vive in Ontario, il 9,5% in Québec. Nelle province atlantiche risiede un ulteriore 7,5% delle First Nations, mentre il 2,1% vive nei territori.
La distribuzione geografica concentrata in gran parte nelle province occidentali fa sì che, mentre la popolazione delle Prime Nazioni rappresenta solo il 2,8% della popolazione totale su scala nazionale, in Saskatchewan e in Manitoba essa rappresenta un decimo della popolazione, e arriva a pesare per un terzo nei Territori del Nord-Ovest (32,1%).
Source: Statistics Canada, Census of Population, 2016.
Le lingue native sono ancora diffuse tra le First Nations, anche se con minore intensità tra i giovani. Nel 2016, il 35,6% degli anziani delle Prime Nazioni parlava una lingua nativa, rispetto al 24,5% nella fascia di età da 25 a 64 anni, al 16,5% nella fascia di età da 15 a 24 anni e al 15,8% nella fascia da 0 a 14 anni.
Tuttavia, è importante notare che la popolazione delle Prime Nazioni è giovane: i bambini (285.825) superano di quattro volte il numero degli anziani (62.070). I numeri assoluti (45.135) rivelano quindi che i bambini in grado di parlare una lingua nativa sono due volte il numero degli anziani (22.125).
Il riconoscimento dei diritti delle First Nations oggi si esprime anche nel nome. Non appellandoli più “indiani” o “bande indiane”, come accadeva precedentemente agli anni Ottanta, si è contribuito a formare un’auto-coscienza collettiva relativa alle terribili repressioni messe in atto dai canadesi per espropriare i territori aborigeni e per condurre questi popoli a un’assimilazione forzata. "First Nations", inoltre, meglio esprime la multiculturalità estesa di questi popoli. Quando gli europei arrivarono nei territori dell’attuale Canada, tra le First Nations si contavano infatti decine di lingue diverse, e ancora oggi sono oltre cinquanta, e non tutti i gruppi che parlavano la stessa lingua condividevano anche altri elementi culturali.
Via Justin Trudeau Facebook Page
L’epoca coloniale: le origini delle politiche assimilazioniste
Ma tralasciando la nomenclatura, è più importante sottolineare come, per molti e molti decenni, il popolo delle First Nations non abbia avuto pieno accesso a una vera protezione sostanziale e formale dei propri diritti in Canada.
È un complesso percorso legislativo, la cui evoluzione può che essere qui solo parziale e certamente di studio ulteriore per il Centro Studi Italia Canada. Ma è anche la storia lunga e dolorosa di un cambiamento culturale, un tempo improntato su un approccio nei confronti dei nativi fortemente assimilazionista e paternalista, che si rispecchiava nell’opinione comune su quali diritti e quale tipo di vita spettassero a queste popolazioni. Già nel 1840, le indagini governative avevano riconosciuto che le politiche attivate nei loro confronti avevano un carattere eccessivamente paternalistico. Ma ciò non impedì disposizioni come quella, ad esempio, contenuta in una legge del 1869, che proibiva la vendita di alcolici agli aborigeni per un’ambizione di protezione degli aborigeni da se stessi.
La “protezione” delle First Nations, il miglioramento della vita e l’assimilazione nella cultura europea erano gli obiettivi di queste prime politiche, attuate attraverso diversi strumenti: l’istituzione di un sistema di governo in “bande”, una sorta di unità amministrativa tribale, all’interno delle riserve, la cristianizzazione delle popolazioni e la loro trasformazione in agricoltori, l’educazione dei bambini nelle scuole diurne e industriali e, successivamente, nelle scuole residenziali.
Questo processo ha trovato poi una sistemazione nel discusso Indian Act del 1876 dove venivano raccolte tutta una serie di leggi coloniali precedenti, a partire dal Royal Proclamation del 1763, il primo tentativo di passare da una logica di sopraffazione e genocidio a una proposta di tutela nella convivenza, con un ruolo paternalista affidato alla Corona. Si stabiliva per la prima volta che la Corona fosse garante di un diritto di proprietà nativo su alcune terre, la cui alienazione poteva avvenire solo sotto certe regole. Certamente quindi faceva nascere quell’idea di “protezione” che poi tanto spazio ha trovato nella legislazione successiva.
Con il trasferimento della responsabilità sugli “affari aborigeni” alle autorità canadesi, alla metà del secolo, il processo di genesi di una vera e propria protezione legislativa per le proprietà native è stata accelerata, grazie a due specifici Statuti con anche i primi tentativi di definizione dello status di “indiano”, che improntavano la questione a una emanazione dall’alto, senza il coinvolgimento delle popolazioni stesse oggetto di tali definizioni e diritti.
Chief Turtle of Grassy Narrows First Nation, the NDP candidate for Kenora, with the NDP Leader, Jagmeet Singh.
Via Facebook Page Jagmeet Singh
L’“Emancipazione” obbligatoria
L’ulteriore passaggio verso lo sradicamento coatto dello status di nativi si ha nel 1857 con “An Act to Encourage the Gradual Civilization of Indian Tribes in this Province, and to Amend the Laws Relating to Indians”: le autorità coloniali incoraggiavano gli aborigeni a rinunciare al loro status per entrare nella più ampia società coloniale come cittadini regolari attraverso l’“enfranchisement”, l’emancipazione.
Ai sensi della legge, solo l’uomo poteva emanciparsi, purché avesse più di 21 anni, fosse "in grado di parlare, leggere e scrivere prontamente e bene la lingua inglese o francese, e sia sufficientemente progredito nelle branche elementari dell'istruzione e sia di buon carattere morale e libero da debiti”.
Si accedeva così al diritto di ricevere "un pezzo di terra non eccedente 50 acri a valere sulle terre riservate o messe da parte per l'uso della sua tribù" e a "una somma di denaro uguale al capitale della sua quota delle annualità e degli altri introiti annui ricevibili da o per l'uso di tale tribù”, accettati i quali si rinunciava in via definitiva a qualunque pretesa su altre terre o “denari appartenenti alla o riservate all'uso della [loro] tribù, e cessato di avere voce in capitolo nei relativi procedimenti giudiziari”.
La moglie e i discendenti di un indiano emancipato perdevano anche loro lo status e non erano più considerati membri della precedente tribù, senza possibilità di scegliere.
Nel 1867 con la nascita del Dominio del Canada, la centralizzazione degli “affari aborigeni” diventa completa. La sezione 91 (24) della Costituzione conferiva al parlamento federale l'autorità legislativa sugli aborigeni e le loro terre, rimuovendola dalle legislature provinciali.
La “Legge sulla graduale emancipazione” del 1869 stabiliva invece il sistema di elezione nelle bande che esiste ancora oggi.
L’Indian Act del 1867
Arriviamo al 1876 e al discusso Indian Act. Il Canada è ormai una nazione indipendente e ha la necessità di consolidare tutte le precedenti leggi federali sugli aborigeni in un unico atto legislativo che regoli, in circa cento sezioni, molti aspetti della vita delle riserve e ne stabilisca le regole di governo. L'amministrazione centralizzata degli affari aborigeni viene mantenuta, le forme di autogoverno, cosa costituisse una banda e cosa una riserva, i processi di elezioni, tutto viene stabilito dall’alto e senza il coinvolgimento delle popolazioni, come anche il diritto di decidere chi sia aborigeno e chi no. L’impianto filosofico delle leggi coloniali in gran parte è conservato.
La legge ha anche mantenuto e ampliato il sistema di “enfranchisement” obbligatorio, con cui gli aborigeni perdevano il loro status indiano e ottenevano la piena cittadinanza senza alcuna manifestazione di volontà, ad esempio quando si accedeva a un titolo universitario o si diventava medico, avvocato o sacerdote, o p, per una donna, si sposava un non-indiano.
Questa legge subì poi alcune modifiche nel corso degli anni in senso ancora più profondamente e violentemente assimilazionista, anche con lo scopo di espropriare più facilmente le terre aborigene: ad esempio, nel 1884 furono vietate le danze e le cerimonie tradizionali; nel 1894 si conferì al Ministro degli Affari Indiani il potere di dirigere le scuole industriali o residenziali e ne rendeva obbligatoria la frequenza, con rigide sanzioni penali; nel 1927 si vietò il perseguimento di rivendicazioni fondiarie.
Residential school group photograph, Regina, Saskatchewan, 1908
Le prime timide riforme
Un processo di riforme, seppur mitigate, inizia solo nel 1951, con l’eliminazione di alcune restrizioni alle manifestazioni e ai riti propri della cultura aborigena e al perseguimento delle rivendicazioni fondiarie. L’identità indiana era però nuovamente stabilita dall’alto, anche se scompariva il criterio di “sangue” in favore del sistema delle registrazioni per linea paterna, che discriminava pesantemente le donne. Rimaneva la pratica dell’emancipazione forzata, aggravata dall’introduzione della regola della doppia madre: le persone la cui madre e nonna avevano entrambe ottenuto lo status indiano solo attraverso il matrimonio con un uomo con status, ottenevano la cittadinanza canadese e perdevano lo status di indiano. Era necessaria tuttavia una deliberazione del consiglio di un comitato speciale istituito a tale scopo.
Una delle riforme più importanti ha riguardato l'applicazione della legge provinciale ai nativi in assenza di disposizione contenute nell’Indian Act, aprendo le porte alla partecipazione del livello provinciale al processo legislativo nativo.
Nei decenni successivi, anche se a piccoli passi, la filosofia discriminatoria alla base dell’Indian Act inizia lentamente a sgretolarsi, sotto il peso anche delle rivendicazioni di autodeterminazione a autogoverno. Si susseguirono una serie di emendamenti: il diritto di voto a livello federale senza dover rinunciare al loro status indiano nel 1960; la rimozione delle disposizioni che costringevano gli indigeni a rinunciare al loro status indiano nel 1961.
Una maggiore sensibilità si stava finalmente diffondendo nei confronti dei diritti negati delle First Nations, della necessità di smantellare le scuole residenziali, da cui emergevano casi di terribili abusi, di innalzare la qualità della vita e dell’istruzione della popolazione, e ridurre la mortalità infantile. Nel 1963, l'antropologo dell'Università della Columbia Britannica, Harry B. Hawthorn condusse un’indagine per conto del Governo, dalla quale emergeva che i popoli nativi erano la popolazione più svantaggiata ed emarginata del Canada a causa delle politiche attuate nei secoli precedenti. Sulla base delle raccomandazioni di Hawthorn, il governo federale avviò un programma nazionale di consultazione con le comunità delle First Nations in tutto il Canada.
Il Libro Bianco del 1969 di Pierre Trudeau
In risposta a questa indagine il Governo di Pierre Trudeau pubblicò un Libro bianco, che dichiarava le modalità per affrontare l’arretratezza dei popoli aborigeni. L'intenzione del governo era di:
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smantellare del tutto l’Indian Act;
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eliminare lo status indiano;
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sciogliere il Dipartimento degli affari indiani entro 5 anni;
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convertire le terre nelle riserve in proprietà private che potevano essere vendute alle bande o ai suoi membri;
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trasferire la responsabilità per gli affari indiani dal governo federale alla provincia e integrare i servizi forniti a quelli forniti a tutti gli altri cittadini canadesi;
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prevedere finanziamenti per lo sviluppo economico;
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nominare un commissario per affrontare le rivendicazioni fondiarie in sospeso e gradualmente risolvere i trattati esistenti.
Le relazioni tra Canada e indigeni si irrigidirono nuovamente in una maniera che probabilmente ha conseguenze fino ad oggi. La reazione a questo nuovo progetto assimilazionista fu di shock tra le comunità delle First Nations che si organizzarono per respingere il Libro bianco con un obiettivo comune: "Non c'è niente di più importante dei nostri trattati, delle nostre terre e del benessere delle nostre generazioni future".
La conquista dei diritti costituzionali
In fin dei conti, la storia delle attuali condizioni delle Prime Nations nella società canadese inizia quindi solo con la sezione 35 del Consitution Act del 1982 che ha riconosciuto i diritti “esistenti” dei popoli autoctoni del Canada, definiti poi dalla Corta Suprema.
Il riconoscimento dei diritti nativi si fonda cioè anche sull’esistenza di sistemi normativi antichissimi, di tipo consuetudinario, che hanno da sempre fondato la vita comunitaria ed istituzionale all’interno delle comunità, in primo luogo il diritto alle terre ancestrali e le sue risorse naturali.
Nel 1995, inoltre, il Governo del Canada ha riconosciuto il diritto intrinseco di autogoverno delle popolazioni indigene come un diritto esistente all'interno della sezione 35 del Constitution Act, 1982.
In risposta ai cambiamenti nel quadro costituzionale del Canada, l’Indian Act è stato emendato nel 1985 e poi ancora negli anni successivi, e continua ad essere oggetto di un progressivo scardinamento dell’impianto considerato obsoleto.
Tra le conquiste più note: l’eliminazione dell’emancipazione obbligatoria delle donne e delle sue conseguenze sullo status dei discendenti; la concessione alle First Nations del diritto di determinare la propria appartenenza, amministrando e aggiornando le loro liste, stabilendo cioè le proprie regole di appartenenza nell'amministrazione delle loro liste di iscrizione.
Come risultato di questo cambiamento, oggi è possibile che esistano indiani registrati/iscritti (status-Indian). senza appartenenza a una first nation, così come membri di una first nation con status non legalmente riconosciuti.
Una serie di accordi, come il First Nations Land Management Act del 1999, hanno consentito inoltre ai governi delle First Nations di spostarsi verso un certo livello di autogoverno senza abolire L’Indian Act.
Gli sforzi di riconciliazione di Justin Trudeau
La riconciliazione con le First Nations deve necessariamente passare attraverso riconoscimento, diritti, rispetto, cooperazione e partenariato, si legge sul sito dei Liberals. Il Governo di Justin Trudeau si è infatti da subito distinto per una spinta a rafforzare le relazioni su questi pilastri. Dichiarazioni pubbliche e manifestazioni in questo senso non sono mancate. Non sono mancati tuttavia nemmeno gli impedimenti. In primo luogo, vanno segnalati i contrasti con le comunità native i cui territori sono coinvolti dalla realizzazione di progetti di gasdotti. Il progetto del Northern Gateway Pipeline della Enbridge è deragliato nel 2016. Il corridoio del Coastal GasLink sta incontrando rimostranze per l’impatto che potrebbe avere sulle comunità native.
Trudeau è accusato di predicare fin troppo bene, ma di rimanere fuori dalle questioni più spinose. E ciò non gioverebbe all’opinione della società canadese sulla questione nativa.
Il paese reale: una ferita aperta sulle questioni native?
Un sondaggio condotto dall'Istituto Angus Reid per Maclean’s ha messo in luce un divario esistente tra le posizioni di Trudeau e le promesse di riconciliazione del Governo, che hanno avuto dal 2015 molto più spazio nell’agenda pubblica, e alcuni atteggiamenti divergenti nella società civile su questioni che ineriscono le popolazioni native.
Il 53 per cento intervistato ha affermato che il Canada spende troppo tempo a scusarsi per le scuole residenziali ed è tempo di andare avanti (rispetto al 47 per cento che ritiene che i danni arrecati dalle scuole continuino e non possano essere ignorati); più della metà degli intervistati ha affermato che gli indigeni non dovrebbero avere uno status speciale e che le popolazioni indigene starebbero meglio se si integrassero di più nella società canadese, anche se il costo fosse perdere gran parte delle loro tradizioni e cultura.
La polarizzazione delle opinioni nella società civile sarebbe la conseguenza di un dibattitto ignorato a livello politico per decenni e che si trova ora a essere sovraesposto, anche per motivi mediatici, e che probabilmente troverà sempre più spazio nella fase pre-elettorale. Il governo federale canadese prevede di spendere 4,5 miliardi di dollari in cinque anni per migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene e promuovere l'autodeterminazione e l'autogoverno. Due persone su tre tra gli intervistati affermano, però, che i fondi governativi destinati alle questioni native sono generalmente inefficaci.
L'istituto ha scoperto che i canadesi sono divisi in quattro gruppi: coloro che sostengono l'autodeterminazione delle First Nations; coloro che si sentono vicini alla questione; quelli che diffidano dei nativi che affermano le loro rivendicazioni; e la linea dura, composta da coloro che si oppongono allo status e agli alloggi speciali.
"I sostenitori della linea dura non sono razzisti, ma non credono davvero in uno status separato", afferma il sondaggista Reid. "Credo che i sostenitori della linea dura pensino che la risposta ai problemi delle comunità indigene non passi per una maggiore spesa, ma attraverso una migliore leadership all’interno delle comunità indigene e una maggiore enfasi posta sull'integrazione".
Certamente la ferita nella relazione tra nativi e canadesi rischi di riaprirsi, se l’opinione pubblica non si ricompatterà in fretta.
*Consulente digital e giornalista, www.digitalhuman.it