Entra in vigore l'accordo economico CETA tra UE e Canada
Il Trattato CETA entra in vigore il 21 settembre in via provvisoria. Il percorso che ha portato alla conclusione dell'accordo di libero scambio compie 10 anni, tra tappe spesso ostacolate da opposizioni, sia in Canada che in Europa.
Paolo Quattrocchi*
Il 21 settembre rimarrà una data memorabile nei rapporti tra Unione Europea e Canada. Questo è, infatti, il giorno scelto per l'entrata in vigore, seppur in via provvisoria, del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l'accordo economico globale che rivoluzionerà i rapporti commerciali tra l’Unione Europea e il Canada, operando tutta una serie di interventi tesi a facilitare ed implementare i rapporti commerciali tra le due parti.
L’Accordo non si limita ai pur rilevantissimi profili economici e commerciali, ma investe anche temi di più vasta portata: a latere del CETA, infatti, la UE e il Canada hanno sottoscritto lo Strategic Partnership Agreeement, un accordo che va ad incidere in molteplici settori (ambiente, sicurezza, politiche sociali, cultura, innovazione), attraverso il quale si intende rinsaldare con efficacia la collaborazione strategica fra i due Paesi. L'accordo, quindi, va visto nella sua globalità e, soprattutto, non disgiunto dallo Strategic Partnership Agreement al quale forse non si dà l’importanza che merita.
2007 – 2017: il lungo cammino del CETA
Fu il Canada, anzi, per la precisione, la Provincia del Quebec, che per primo ebbe l’intuizione di proporre un accordo economico tra UE e Canada. Era il 2007 e, in occasione del World Economic Forum, il premier del Quebec, Jean Charest, propose al Commissario Europeo per il Commercio, Peter Mandelson, un partenariato economico tra il Canada e la UE. Non é un caso che l’iniziativa partisse dal Quebec: la Provincia canadese a maggioranza francofona ha, infatti, da sempre intrattenuto con l’Europa rapporti commerciali intensi e, proprio per la particolare posizione che il Quebec ha storicamente occupato all’interno dell’ordinamento federale, la Provincia ‘gigliata’ guarda con favore a diversificare i propri mercati di riferimento, rivolgendosi proprio a quell’Europa il cui modello di struttura economica, forse, ben si confaceva con gli obiettivi del Quebec all’interno della Federazione.
Gli obiettivi erano ben chiari ai promotori: il premier del Quebec e il ministro dello Sviluppo Economico, della Innovazione e del Commercio, Raymond Bachard, dichiararono che il loro desiderio era quello di dare avvio a delle consultazioni per giungere alla firma di un accordo di libero scambio tra Canada ed Unione Europea: “ It has to be a new-generation agreement that will deal with the impediment to investment and stimolate trade of good and services. It could also cover sustainable development, mobility for people and good, recognition of skills, and scientific and technical cooperation”.
All’iniziativa del Quebec rispose per prima la Provincia dell'Ontario che, con il premier di allora Dalton McGuilty, incoraggiò nell’estate del 2008 l’inizio dei negoziati. Nell’ottobre 2008 si tenne un summit a Quebec City a cui seguirono gli incontri, nel 2009, di Charest con Sarkozy a Parigi e Barroso e Ashton a Bruxelles.
Nel maggio del 2009 ebbero inizio i negoziati veri e propri.
Il percorso che ha portato alla conclusione dell'accordo non è stato facile e si è scontrato più volte con un doppio fronte: un fronte interno, sia in Canada, in considerazione dell’ordinamento federale, dove ciascuna Provincia ha dovuto gestire delicati temi di politica economica locale, sia in Unione Europea, dove i singoli Stati membri hanno in diverse occasioni espresso perplessità e sollevato contestazioni; e un fronte esterno, intendendo con questo la vera e propria trattativa tra le due parti.
Gli sforzi dei negoziatori sono stati comunque premiati e, superati i vari passaggi procedurali, si è giunti alla duplice approvazione del Parlamento Federale e del Parlamento della UE e a concordare una data, appunto il 21 settembre, nella quale dare inizio alla esecuzione – seppur provvisoria - dell’accordo.
Le opposizioni al Trattato
L’esecuzione del Trattato è, quindi, provvisoria: ciò implica che, per la definitività dell’Accordo, - tenuto conto che si tratta di una accordo al quale è stata data la qualifica di accordo “misto” (economico e politico) - dovranno fare seguito le ratifiche da parte di tutti i Parlamenti nazionali.
In Italia, la Commissione Esteri del Senato ha approvato ed ora la legge di ratifica dovrà passare in Aula. In occasione delle rispettive visite in Canada, Gentiloni prima e Mattarella dopo hanno espresso il loro appoggio al CETA e il loro impegno a far si che il Parlamento italiano ratifichi il Trattato.
Le opinioni rispetto all’adesione all'accordo non sono unanimi: si registrano voci di dissenso basate su diverse ragioni che, personalmente, considero non condivisibili, ma che naturalmente meritano il massimo rispetto.
Prescindendo dalle posizioni di contrarietà rispetto al libero scambio e ai trattati economici globali, ritengo che le restanti ragioni a favore del 'no', sostenute anche con autorevolezza, siano strumentali e legate, dichiaratamente o no, ad interessi particolari, senza considerare che, allorché si discute di libero scambio, devono essere valutati nel complesso tutti gli interessi economici coinvolti.
Il Canada, in tal senso, ha dovuto affrontare problematiche molto serie, legate agli interessi portati dalle diverse Province anche se sarebbe più corretto dire che si tratta di istanze sostenute da diverse categorie di operatori ed espresse da alcune Province. Valga come esempio il caso del Quebec, proprio la Provincia da cui il CETA è partito, che guarda con timore all’apertura del mercato canadese ai prodotti lattiero-caseari europei dal momento che la maggior parte dei prodotti di questo settore consumati in Canada sono prodotti, appunto, in Quebec.
Nonostante i timori degli interessi locali, il buon senso ha prevalso e il Trattato ha continuato il suo cammino verso l'entrata in vigore. Ma una così forte opposizione non si era mai registrata in materia di trattati economici, nonostante la UE ne avesse già conclusi molti: basti citare l’accordo con la Corea del Sud - per l’utilizzazione del quale l’Italia brilla negativamente occupando una delle ultime posizioni tra i Paesi europei - o anche il trattato commerciale sul quale Europa e Giappone si sono confrontati per oltre quattro anni e per il quale sono vicini all'intesa definitiva; in entrambi questi casi non si è mai alzata nessuna campagna contraria o voce di dissenso.
Si può ipotizzare che la vicinanza geografica con gli USA e una certa tendenza globale ad identificare e confondere, in tema di approccio e gestione delle relazioni internazionali, la cultura canadese con quella statunitense abbiano reso il Canada un Paese non proprio gradito e rispetto al quale può essere lecito esprimere sospetti di aggressività o scorrettezza nella gestione dei temi collegati al rispetto delle regole?
Ma se fosse così, chi esprima tale pensiero dimostrerebbe di non conoscere il Canada, la sua storia, la società canadese e nello specifico il modo di essere e di pensare dei suoi cittadini.
In un momento nel quale si critica con fermezza la posizione di chiusura al mercato espressa da Trump in più occasioni, da ultimo con l’avvio ufficiale dell’iter per la rinegoziazione del Nafta (l'accordo di libero scambio fra Usa, Canada e Messico), la preoccupazione dei cittadini per l’impatto dell’integrazione economica internazionale e alcune posizioni protezionistiche europee appaiono espressione di una strategia perdente. Ciò vale ancor di più per un Paese manifatturiero ed esportatore come l’Italia.
In verità, nell’attuale contesto economico, una posizione opposta a quella statunitense potrebbe portare enormi vantaggi a Canada e UE i cui scambi reciproci, proprio grazie al Ceta, cresceranno, facilitati dal nuovo trattato.
Più in generale dovremmo fare una seria riflessione su come si possa essere contrari a creare una forma integrata di collaborazione politica economica e sociale con un Paese di 36 milioni di abitanti (il 5% della popolazione europea!), dei quali la stragrande maggioranza è proprio di recente origine europea, che rappresentano una delle prime sette economie del mondo (con il miglior tasso di crescita del PIL), che sono da anni ai vertici delle classifiche mondiali per qualità di vita e che hanno molto da dire al mondo in materia di gestione dei flussi migratori, di rispetto delle minoranze nel senso più ampio del termine e rispetto delle regole con particolare riferimento a quelle del vivere civile.
*Direttore del Centro Studi Italia-Canada
vice-presidente Camera di Commercio Italiana in Canada - Ovest