menu di scelta rapida

torna al menu di scelta rapida

News

Ancora alcune considerazioni sul CETA

Ancora alcune considerazioni sul CETA

Paolo Quattrocchi*

In concomitanza e a seguito all’entrata in vigore del CETA, si sono levate sempre più pesanti e con crescente vigore le critiche nei confronti dell’accordo economico-commerciale tra Canada e UE

Tralasciando altre critiche, come quelle relative al settore investimenti (che peraltro non è in esecuzione provvisoria), l’attenzione sembra concentrarsi sulla:

a) temuta invasione di prodotti canadesi dannosi per la salute pubblica (muffe e diserbanti tossici, carni agli ormoni, grano cancerogeno, ecc. ecc.), 

b) mancata inclusione di tutti i prodotti italiani di qualità riconosciuti come Indicazioni Geografiche e infine, comunque, 

c) insufficiente livello di tutela riconosciuta in Canada ai prodotti  (IIGG) inclusi nel CETA.

 

A) TEMUTA INVASIONE DI PRODOTTI CANADESI

Partiamo dal grano.

Che ci piaccia o meno l’Italia, per molti anni, è stato il primo importatore al mondo di grano canadese. Che ci piaccia o meno, quindi, la pasta e gli altri prodotti derivati dalla lavorazione del grano di cui ci siamo nutriti, fino al 2017, sono stati prodotti, appunto, con grano canadese. 

Il CETA quindi non ha avuto, come erroneamente sostenuto, né avrà implicazioni sugli acquisti di grano dal Canada, acquisti che sono sempre avvenuti, in quantità elevatissime, anche prima del CETA.

Il grano canadese, infatti, in forza di un complesso meccanismo di calcolo, che tiene conto del valore della produzione di grano, mondiale e comunitaria e le spese di nolo, è stato importato nella UE a dazio zero sin dal 2014, da quando cioè la UE, con il Regolamento n.147 del 14 Febbraio 2014, ha disposto la suddetta esenzione. La situazione in Italia era ben nota e già dal 2015, al di là di ogni considerazione sulla tossicità o meno del grano candese, si viveva con un certo disappunto il fatto che mentre il grano canadese entrava in Europa a dazio zero, la pasta, prodotta in Italia con quel grano, subiva poi l’imposizione, in ingresso in Canada, di un dazio che, a seconda dei prodotti, poteva raggiungere anche il 10%: detto ciò,quindi, non esiste alcun rapporto tra l’import di grano canadese (tossico o non tossico che sia) e il CETA. 

Peraltro da quando è entrato in vigore il CETA le vendite di grano canadese all’Italia sono crollate, riducendosi del 90%: dai 446 milioni CAD del 2015, ai 321 milioni CAD del 2016, ai 173 milioni CAD del 2017, (le esportazioni di grano duro canadese verso l’Italia si sono più che dimezzate nell’arco di 3 anni).

 

 

Si dovrebbe allora dire che il CETA ha giocato un brutto scherzo al Canada? No. Basta una semplice considerazione, che vale per il grano come per tutti i prodotti, alimentari e non: un accordo di libero scambio non comporta obblighi di acquisto; esso tende solamente a favorire il commercio se e in quanto i prodotti, liberati dai dazi o da altre barriere non tariffarie, mantengano la loro competitività: è una banale regola del libero mercato.

Il grano canadese, che dal 2014 entrava in Europa a dazio zero, oggi (CETA o non CETA), è rimasto a dazio zero, ma non suscita più l’interesse degli importatori italiani, vuoi per unamigliore produttività interna, vuoi per la propensione degli importatori italiani a rivolgersi ad altri mercati, vuoi per gli esiti di una, sotto certi aspetti tardiva, comunque efficace propaganda: tutto qui, il CETA non ha né meriti né colpe.

Quanto agli altri prodotti canadesi considerati pericolosi, occorre leggere con attenzione l’accordo che ribadisce un principio che il CETA non può rimuovere, vale a dire che, CETA o non CETA, in Europa (e in Canada) non possono né potranno essere importati prodotti che non siano conformi con le rispettive leggi vigenti e che ciascuna delle parti rimarrà libera di legiferare sulla base degli standard che riterrà opportuno adottare, senza che tali normative possano comunque ostacolare il commercio. Spetta a ciascuna delle parti quindi monitorare i propri confini per far sì che prodotti non conformi con le proprie rispettive normative non facciano ingresso sui rispettivi mercati.

 

B) MANCATA INCLUSIONE DI TUTTE LE IIGG ITALIANE

Fino ad oggi alcuni prodotti italiani di alta qualità, come ad esempio il Prosciutto di Parma,non potevano essere venduti in Canada con la propria denominazione d’origine tradizionale.

La ragione di tale divieto era dovuta al fatto che in Canada – diversamente da quanto accade in Europa - non vi era, neanche per i prodotti alimentari, una legislazione speciale a tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine, al di là di quanto previsto dalle norme generali in materia di marchio d’impresa: vale a dire che, se per una determinata denominazione (anche inclusiva di una indicazione geografica estera) si era ottenuto regolarmente un marchio, quella denominazione poteva essere utilizzata in via esclusiva, anche a scapito dei prodotti autenticamente originari dell’area geografica a cui la denominazione faceva riferimento.

In ragione di ciò si era verificato il caso (è questo, per l’appunto, il caso del Prosciutto di Parma) che alcuni produttori canadesi, seppure nel rispetto della legge nazionale, avevano registrato, come marchi, le denominazioni di prodotti tutelati in Italia come indicazioni geografiche, con ciò creando una evidente situazione di conflitto.  D’altro canto, quegli stessi prodotti canadesi, che si erano appropriati di denominazioni protette in Europa come IIGG, non potevano essere venduti nel vecchio continente.

Si tratta con tutta evidenza di una situazione di stallo: gli italiani non potevano vendere in Canada le loro eccellenze, i canadesi non potevano vendere in Europa i loro prodotti che si avvalgono di denominazioni ispirate da quelli europei (italiani).

Data questa situazione di partenza, cosa ha fatto il CETA?

All’esito delle negoziazioni, il Canada, abdicando in parte alla propria normativa, ha accettato, riconoscendole come meritevoli della massima tutela, 41 IIGG italiane che, prima escluse dal mercato canadese, oggi sono libere di entrare sugli scaffali della distribuzione canadese a dazio zero.

Cosa avviene per i prodotti canadesi che utilizzano denominazioni ispirate da prodotti europei (italiani)? Possono entrare sul mercato europeo? 

No, non potranno entrare perché violano le norme previste in Europa a tutela delle IIGG.

In conclusione, mentre 41 prodotti italiani che prima non avevano accesso al mercato canadese oggi possono essere e sono in effetti venduti in Canada a dazio zero, i prodotti canadesi, che utilizzano denominazioni ispirate da quelle italiane, non possono né potranno essere venduti in Europa.

Si obietta da parte di alcuni commentatori che il numero di IIGG riconosciute dal CETA non include tutte le IIGG italiane riconosciute in Europa; si tratta più o meno di ulteriori 200 IIGG: è così. Le IGG italiane tutelate con il CETA sono meno di quelle riconosciute in Europa.

È anche vero, però, che da un lato, il valore commerciale delle IIGG riconosciute è pari al 90% del valore di tutte le IIGG italiane, dall’altro è anche vero che il CETA è un accordo aperto nel senso che fino alla ratifica sarà possibile inserire nell’elenco altre IIGG che dovessero essere considerate di una rilevanza tale da renderle meritevoli di una tutela analoga a quella di prodotti più noti e quindi con un valore di mercato maggiore. 

Cosa significa? Significa che in Italia, e probabilmente anche in Europa, sono riconosciute come IIGG anche prodotti che per volume, notorietà, diffusione e capacità di penetrazione sul mercato interno e internazionale non sembrano essere particolarmente significative. Molte di esse appartengono ad una niche che, come tale, le rende note solamente ad una ristrettissima cerchia di super esperti del settore. Con questo non si vuole minimamente sminuirne il valoreintrinseco, né in termini di originalità e qualità, né per il significato che tali prodotti hanno per la tradizione e la cultura italiana; si intende solo riflettere su quanto forte possa essere, sui mercati esteri, la percezione e l’interesse verso quei prodotti e quanto alto sia il livello di valore e notorietà internazionale e quindi il rischio di appropriazione della denominazione che i suddetti beni possono rischiare. Peraltro tali IIGG, in attesa di un non prossimo coordinamento internazionale tra i sistemi di tutela dei marchi e delle IIGG, ben potrebbero tutelarsi sul mercato canadese con sistemi alternativi e a bassissimo costo.

Gli accordi economici sono dei compromessi per raggiungere i quali, forse, in alcuni casi, occorre fare qualche piccolo o grande sacrificio, tenuto conto anche dei sacrifici dell’altra parte.

 

C) TUTELA IN CANADA DELLE IIGG ITALIANE RICONOSCIUTE DAL CETA

La tutela prevista per le IIGG italiane riconosciute dal CETA non sarebbe comunque sufficiente.

Cercando di mantenere la massima obiettività si osserva: fino all’entrata in vigore del CETA, il Prosciutto di Parma, tanto per fare un esempio, non poteva essere venduto o meglio, poteva essere venduto (come in effetti era venduto), ma non poteva utilizzare la propria denominazione: veniva infatti venduto con altra, generica denominazione che naturalmente non poteva consentire al prodotto di essere commercializzato ad un prezzo coerente con il suo valore, né consentiva la valorizzazione della denominazione. Oggi, non solo il Prosciutto di Parma e molti altri prodotti il cui valore per l’esportazione è molto elevato, può essere venduto con la propria denominazione a dazio zero, con applicazione di un prezzo coerente con la qualità che quel prodotto esprime, ma tutti coloro che utilizzavano (in base alla legge canadese) denominazioni similari, potranno sì continuare ad utilizzare quella denominazione similare (sarebbe difficile rimuovere il diritto all’uso di una denominazione acquisito legittimamente sulla base della normativa canadese vigente), ma non potrà più avvalersi di indicatori – aggettivi, immagini, definizioni - che richiamino la (erroneamente assunta) italianità di quel prodotto che tutto è fuorché “italiano”. 

Per i negoziatori europei (e canadesi) sarebbe stato molto difficile fare di più, ma anche in questo caso, se si vuole tornare a discutere, negoziare, lo si può fare: abbiamo detto che il CETA è un accordo ancora aperto, gli strumenti per farlo ci sono e, forse, anche la disponibilità, senza però non tenere nel debito conto che, da un lato, di vantaggi i produttori europei ne hanno già ottenuti molti, dall’altro ogni nuova concessione potrebbe avere un suo prezzo che non necessariamente potrebbe ricadere sullo stesso comparto, con buona pace per il comparto che poi potrebbe risultarne penalizzato. L’Italia comunque rimane ovviamente libera di non ratificare.

Quali le conseguenze di una non ratifica nel settore agro-alimentare?

A parte tutte le complessità procedurali legate alla non ratifica, sulle quali si dirà in altra occasione, con le incertezze che potrebbero derivarne in generale sui rapporti commerciali con il Canada, i prodotti di eccellenza italiani non potranno più essere venduti (le IIGG) con le loro denominazioni tradizionali; il quantitativo di formaggi che potrà essere esportato in Canada si ridurrà, non potendo più beneficiare dell’accresciuta quota di importazione prevista dal CETA; i vini italiani (che stanno già beneficiando di una riduzione dei dazi e per i quali in 7 anni si arriverebbe a dazio zero) manterranno dazi sull’esportazione in Canada.

 

IL CETA NON RIGUARDA SOLO IL COMPARTO AGRO-ALIMENTARE

Peraltro e senza con ciò voler sminuire l’importanza del comparto in esame, il CETA non si occupa solamente dei prodotti agro-alimentari.

 

Settore dei macchinari

Il CETA si occupa infatti di tutti i settori merceologici e interviene anche sulle barriere non tariffarie, aprendo agli europei mercati fino ad oggi preclusi o, in qualche modo, penalizzati.

Senza pretesa di completezza, pare comunque doveroso ricordare, che con il CETA, ad esempio, è stato rimosso l’ostacolo che penalizzava l’esportazione di macchinari dall’Europa al Canada, vale a dire la necessità di dotarsi di più certificazioni di prodotto con tutti i rischi, complicazione, ritardi e costi che ciò comportava. Se si tiene conto delle necessità del Canada in relazione ai margini di crescita che il paese nord-americano vuole mantenere (e accrescere) e delle forti similitudini che si riscontrano tra il tessuto produttivo italiano e canadese, caratterizzati ambedue da un preponderante numero di piccole e medie imprese, sarà semplice comprendere quanto forti siano i margini di crescita per l’imprenditoria italiana nel settore dei macchinari, che, su un totale di valore delle esportazioni pari a $ 8152 mln CAD, partecipa per il 24%, con un valore pari a $ 1949 mln CAD.

 

Gare di appalto per beni e servizi

E ancora, con il CETA, le aziende europee potranno partecipare alle gare di appalto per beni e servizi, a tutti i livelli (federale, provinciale e metropolitano) che in un paese in crescita come il Canada (da anni primo tra i paesi del G7 per tasso di crescita) significa avere degli spazi di espansione enormi. Oltretutto, in materia di appalti, il CETA ha recepito in toto la normativa europea in materia, il che, al di là delle ovvie difficoltà proprie di un settore quale è quello degli appalti, non può che agevolare gli imprenditori europei (italiani); altro ci sarebbe da dire, ad esempio per le nuove norme in materia di regolamentazione della proprietà intellettuale che vanno ad incidere notevolmente, in modo favorevole, sul settore farmaceutico e degli strumenti bio-medicali, ma non si può, in questa sede esaminare tutto il CETA.

Una riflessione viene spontanea: il Canada ha 36 milioni di abitanti, l’Europa 500 milioni, la sproporzione è evidente. Forse dovrebbero essere i canadesi ad essere preoccupati di doversi confrontare con un mercato grande e agguerrito come quello europeo, non il contrario.

 

L’ACCORDO DI COOPERAZIONE STRATEGICA

Leggere poi che il CETA non garantirebbe la tutela della democrazia, dell’ambiente e in genere dei diritti lascia esterrefatti. 

Evidentemente, a tacer d’altro, si omette di considerare che il CETA è la parte economica di un ben più vasto accordo di cooperazione strategica sottoscritto da UE e Canada, che vede nello Strategic Partnership Agreement il suo strumento. In 34 articoli UE e Canada hanno ribadito e si sono impegnati formalmente nello sforzo comune volto alla difesa e alla condivisione dei principi di tutela dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della democrazia, della legalità, della pace e della sicurezza internazionale, della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, attraverso il dialogo costante per il tramite di procedure di consultazione e commissioni permanenti sempre attive, con l’obiettivo, tra l’altro di adeguare le normative, tale da creare una liaison sempre più stretta ed efficace. Non si tratta solo di belle parole: già nel 2017 UE e Canada hanno sottoscritto, in attuazione dello SPA, un protocollo d’intesa su cyber security attraverso la condivisione di procedure di sicurezza per lo scambio e la protezione di informazioni classificate.

Negli ultimi mesi il Canada è stato presentato e trattato, in Italia, quasi fosse un “paese canaglia”.

Dimenticando quello che il Canada ha fatto per l’Italia durante la seconda guerra mondiale e dimenticando, solo per un brevissimo attimo, i milioni di italiani che hanno contribuito, con enormi sacrifici, a far grande quel Paese e che oggi guardano all’Italia allibiti rispetto a tanta ostilità e a tutto quello che sta accadendo. Per chi conosce il Canada e il suo modo di essere – pacato e discreto –, con i suoi primati nelle politiche sociali, di tutela dell’ambiente e della salute, di tutela dei diritti civili (minoranze, donne, gender, credi religiosi), dello straordinario impegno internazionale di supporto ai paesi più bisognosi e nelle missioni di pace e umanitarie, provoca, dopo una prima reazione di sbigottimento, un amaro sorriso misto di incredulità, ironia, imbarazzo e  malinconia.

 

*Equity Partner di NCTM Studio Legale, 

Vice Presidente ICCCW, 

Direttore Centro Studi Italia-Canada